Con le primavera appena iniziata e le temperature che pian piano si alzano, il mondo torna alla vita, come si suol dire.

di Paolo Merenda

Magari non proprio alla vita a cui siamo abituati, in questo periodo di emergenza sanitaria mondiale, ma perché farci mancare anche le piccole cose?

Mettere le mani nella terra, dedicarsi al giardinaggio, è un modo per sentirsi tutt’uno con il pianeta che ci ospita, e nello scegliere cosa piantare, la nostra natura viene fuori. Che siano fiori, piante ornamentali, verdura o frutta, tutto sarà bellissimo quando crescerà e vedremo i nostri sforzi premiati.

La mia passione, quando riesco a dedicarmi alle piante, sono i peperoncini dal mondo. Una passione che ho sempre avuto, nel mangiarli intendo, ma da qualche anno trasferitasi all’intera filiera, se così vogliamo dire. Ci ho anche scritto due racconti sull’argomento.

Come afferma Kay Maguire in Coltivare peperoncini, non c’è nulla di più versatile. La parte finale del suo libro raccoglie i modi in cui può essere conservato o cucinato, per cui avere una grossa coltivazione non porta a sprechi del frutto finale. Essiccati, sott’olio, ma anche affumicati. Quali sono però i tipi da coltivare (o solo mangiare) secondo i vari palati?

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I peperoncini italiani hanno in alcuni casi picchi di piccantezza, che si misura sulla scala di Scoville, invidiabili, ma per arrivare a un livello di capsaicina a prova dei palati più duri bisogna andare idealmente in giro per il mondo. Un peperoncino italiano può avere una concentrazione di capsaicina (il cui indice di presenza nel peperone è appunto alla base della scala di Scoville) di 1.000, 1.500 circa, quindi per capirci cercate di aver presente la piccantezza che sentite in questi casi. Ecco, con un Habanero messicano si arriva intorno ai 300.000, con picchi di 800.000 in caso del Chocolate o del Red Savina, due tipi di Habanero specifici.

Attenzione, però: parliamo di Habanero consumato a chilometro zero, in Messico, perché la stessa pianta, messa in Italia, risente delle condizioni atmosferiche diverse e la piccantezza si abbassa.

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Il Naga Morich, indiano, uno dei miei preferiti da mangiare a piccoli morsi, è circa a 1.000.000 di concentrazione, 1.000 volte un peperoncino italiano tipico. Salendo, la prima posizione è saldamente in mano al Carolina Reaper, che pure ho coltivato e mangiato crudo a pezzi, ma non ve lo consiglio assolutamente se non siete esperti.

Elena Bortolini, nel libro Il peperoncino, dedica un’ampia porzione a un aspetto da non sottovalutare: i suoi benefici. Contrasta la disfunzione erettile e i problemi circolatori in genere perché è un forte vasodilatatore e, come spiega l’autrice, in alcuni casi c’è anche un radicato valore simbolico, seppur non scientifico, che varia da un tipo all’altro, a seconda di forma o colore, in modo quasi esoterico e che risale all’alba dei tempi.

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D’altronde, immaginatevi la scena dei primi uomini che hanno calcato una terra ancora vergine e che, giorno dopo giorno, hanno scoperto cos’era quello o quell’altro frutto, assaggiandolo. Come non dare un potere divino a frutti tanto piccoli e dal sapore tanto caratteristico?

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