Quando mi sono trovato tra le mani il libro Benvenuti a Chernobyl di Andrew Blackwell, giornalista e regista cinematografico, ho cominciato a leggerlo con entusiasmo.

di Paolo Merenda

Ultimamente mi piace molto l’argomento: i pericoli dell’industrializzazione eccessiva da parte dell’uomo, che sta portando pian piano a far cadere gli equilibri della natura.

D’altra parte, però, in generale alcune battaglie mi hanno sempre lasciato perplesso, almeno nei modi, e col passare delle pagine ho trovato che il giornalista nutriva le mie stesse perplessità. Il saggio sotto forma di diario, dalla forte carica ironica, è strutturato in sette parti, altrettanti viaggi nei luoghi più inquinati della Terra. Il titolo completo, Benvenuti a Chernobyl e altre avventure nei luoghi più inquinati del mondo, dà difatti diversi elementi sul genere che si trova all’interno. Navigare, in India, sul fiume più inquinato al mondo (lo Yamuna) e dichiarato biologicamente morto, può essere un viaggio avventuroso da ricordare addirittura con “piacere”? O visitare luoghi in cui viene trivellato il petrolio, il paesaggio sempre più deturpato (Alberta in Canada e Port Arthur in Texas), può essere divertente?

Non mancano accuse precise contro gli integralismi di chi vuole il progresso a tutti i costi, nel capitolo in cui si parla di deforestazione dell’Amazzonia e in quello riguardante la grande isola di plastica del Pacifico, senza pensare alle conseguenze sull’ambiente, ma mi ha sorpreso positivamente che il suo discorso sugli integralismi non si sia limitato lì, ma si sia allargato a tutti i tipi. A Chernobyl è esploso un reattore nucleare per colpe quasi esclusivamente umane e l’allora Urss, cercando di insabbiare tutto, ha fatto peggio, ma gli eccessi nell’altro senso, per arginare la fusione che ha cambiato il volto della regione, non sono stati da meno, in special modo quando non è stato mai cercato un accordo che avrebbe reso più fluido e veloce il raggiungimento di un punto comune.

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Ecco, il discorso, appena mascherato con un’ironia sottile ma dilagante in tutte le pagine del libro, si riduce a un concetto. Ogni battaglia, per quanto nobile, che sia da parte di singoli o gruppi codificati, si macchia e si inquina con gli integralismi, con il non voler cercare un accordo ma ancorarsi sulle proprie posizioni senza smuoversi di un millimetro.

Andrew Blackwell riesce a rendere il messaggio divertente, come quando dice «Ovviamente un gruppo di attivisti di Greenpeace non può passeggiare per una miniera senza incatenarsi a qualcosa» (pag. 75), o «metà del senso dell’attivismo ambientalista consisteva semplicemente nel non essere tagliati fuori [dagli affari]» (p. 92). Stilettate che servono anche a far capire gli errori della causa, perché nessuno è perfetto o esente da colpe.

Magnifico il discorso sull’antropocene, l’era geologica in cui ci troviamo secondo lo scrittore. Da pagina 184 a 186 c’è la vera essenza dei problemi, da una parte e dall’altra. «Alcuni dei posti che consideriamo più incontaminati sono per certi versi profondamente artificiali» perché il modo in cui viene portata avanti la causa ambientalista «formalizza l’idea che per gli esseri umani non c’è posto». Quindi, via libera agli umani? Nemmeno: «Il nostro ambiente non è sull’orlo di qualcosa. È oltre l’orlo – oltre vari orli – e lo è già da un bel po’. È ora di smettere di fingere che non siamo entrati nell’antropocene, una nuova era geologica».

Dov’è la soluzione? Nell’equilibrio, secondo Blackwell, e il concetto mi trova d’accordo.

«Oggi l’obiettivo non è di preservare l’idea fantasiosa di una natura pura e a sé stante, ma di capire quanto noi umani siamo parte integrante della nuova natura che è ancora in vita. Solo così possiamo conservare lei e noi.»

Qua e là fa dei casi emblematici: il panda è stato a rischio estinzione, ed è stato salvato dall’uomo, lo stesso uomo che ha contribuito, ma non è stata l’unica causa, a portarlo a rischio estinzione. Un esempio lo aggiungo io: i pesci rossi da acquario. Pare che si sarebbero estinti da tempo, perché prede troppo facili, ma l’intervento umano ha salvato la specie.

Quindi, ipotizzare e portare avanti un ambientalismo che preveda l’uomo non potrebbe essere una soluzione? Ed evitare integralismi in qualunque settore, non porterebbe a equilibri più stabili di un mondo perennemente sull’orlo di battaglie per ogni causa, dalla più alla meno nobile?

Ecco, nel suo piccolo Blackwell cerca di darci quest’insegnamento in un libro assolutamente da scoprire.

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