Nel 1959 nasceva in questo giorno Robert Smith, frontman dei Cure e ispirazione per moltissimi artisti e una generazione di persone comuni: la mia.
You’ll fall in love with somebody else
Again tonight
Questa mattina la nostra collaboratrice Silvia Cappello, mi ha fatto notare una mancanza, un’assenza: come, ci mettiamo a fare gli auguri a Elisabetta II e non a Robert Smith, cui tanto dobbiamo in termini di sentimento e di immaginario?
E allora cerco di correre ai ripari.
Insomma, chi è Robert Smith potete andare pure a cercarvelo su Wikipedia. Il modo in cui ci ha influenzati è tutto un altro paio di maniche. A titolo esemplificativo, Sofia Coppola ha incluso un brano dei Cure all’interno della colonna sonora di Marie Antoinette – uno dei film della trilogia sull’adolescenza infelice. Il brano in questione è All the Cats Are Grey, il cui titolo è tratto da una battuta di Re Lear di William Shakespeare.
L’utilizzo delle canzoni dei Cure ha una tradizione relativamente recente. Lullaby è stata utilizzata nel finale de L’estate del mio primo bacio di Carlo Virzì, anche se molto più iconico è l’uso di Burn nella colonna sonora de Il Corvo – film che piace tanto alla nostra Silvia.
Una delle cose più scontate che possiamo dire di Robert Smith è che sia il fondatore e il massimo esponente della musica dark. Esiste un libro, molto datato ma ciononostante meraviglioso, che racconta la storia della band e analizza – come fossero delle poesie – le immagini presenti nei testi delle canzoni. Il libo è di Alfonso Nitti e si intitola Cure Story. Se riuscite a trovarlo, anche usato, siete molto molto fortunati (noi, a ogni buon conto, vi lasciamo un link con il programma di affiliazione Amazon).
Nel libro, viene spiegata una cosa molto importante: il manifesto del movimento dark è Boys Don’t Cry, una canzone pop di tre minuti, con musica allegra e testo molto cupo.
Il movimento dark è ritenuto da sempre cupo infatti, ma le musiche dei Cure sono invece spesso trascinanti, quasi a livello fisico. L’idea della cupezza legata al dark è stata cavalcata anche da Paolo Sorrentino in This Must Be the Place: nel film, Sean Penn interpreta una star della musica in ritiro, tale Cheyenne, il cui aspetto è modellato su Robert Smith, i suoi capelli spettinati, gli outfit total black e il rossetto sbavato.
Il film però non c’entra nulla con i Cure. E c’è anche chi ha ha ben colto un’occasione d’ironia, come Leo Ortolani che nel suo libro Il buio in sala ha lasciato intendere come il personaggio tratteggiato da Sorrentino per bocca di Penn sia un ammasso di retorica.
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Comunque il regalo a Robert Smith l’ha fatto Silvia, che lo celebra per noi con due regali: una foto della sua collezione privata a tema Cure e una playlist molto speciale.