Ho sempre avuto una grande passione politica e durante le campagne elettorali ho assistito a molte cose, ma ce ne sono alcune a cui non faccio mai l’abitudine: l’odio e le bugie.

La prima volta che sono stata in un seggio elettorale in qualità di rappresentante di lista fui attaccata da un rappresentante di un’altra lista perché segnalai al presidente di seggio di come stesse compilando un elenco di elettori che ancora non si erano recati alle urne. Inveì puerilmente, e da quel momento mi ha sempre guardato con odio, soprattutto il giorno che trovammo la sezione – in cui avremmo dovuto festeggiare i 50 anni di tessera di un iscritto – ricoperta di svastiche e scritte di disprezzo. Poi ci fu l’episodio della bomba carta esplosa sul palco mentre il compianto Pino Zimba cantava a sostegno di una candidatura alla Regione.

Sono stata spesso nei seggi elettorali. Come rappresentante di lista, scrutatrice, segretaria, presidente di seggio. Le elezioni rappresentano per me un momento emozionante, collettivo, come quella notte che credevamo di aver perso, quella notte in cui, come scrisse Michele Serra, «eravamo tutti sicuri della Campania».

A un certo punto, mi sono allontanata dalla politica, perché ho smesso di credere nelle persone, in alcune persone. E ho smesso di crederci perché a volte, spesso, le persone sono in un modo in pubblico e poi in privato sono tutt’altro. Perché ci sono molti omofobi o misogini anche a sinistra. Perché è difficile pensare alla propria vita con contorni netti che separino gli amici dalla passione politica. E mi è accaduto, nel corso della ricerca di me stessa, nel provare a cambiare la mia città per quello che avrei voluto, di diventare funzionale a un sistema. Sono giorni che ci giro intorno. Avrei voluto scriverne prima ma mi vergogno molto. Non è che ho raggiunto una nuova consapevolezza, è solo che ho visto un video e mi sono arrabbiata. Mi sono arrabbiata perché c’è questo mio amico, e anche lui è molto idealista. E magari è uno di quelli che fanno le cose e si scordano, perché è così che si deve fare. Ma mi è dispiaciuto vedere che a lui non fosse riconosciuto il giusto.

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Sarebbe facile per voi pensare che in ciò che non è stato riconosciuto al mio amico io ci abbia visto me stessa. Non è così, anche se lo potrebbe apparire. Sono arrabbiata perché c’è sempre chi vedrà un noi e un loro. C’è chi vedrà delle cerchie. C’è chi non riconoscerà il buono nell’altro solo perché diverso.

Personalmente non saprei vivere da omologata, mi piacciono solo le mie regole, quelle che valgono per me e per me sola. Mi lascio andare alla campagna elettorale come momento collettivo ma finisce lì. E mi auguro che almeno ora, quando tutto finirà, arriverà il momento del rispetto: niente bombe carta, niente muri sfregiati da svastiche, niente mancanza di riconoscimento, ma soprattutto comprendere che una collettività è fatta di esseri umani e forse è arrivato il tempo per smettere di essere superficiali e non guardare oltre al proprio naso. Riuscirò a tornare a credere nelle persone, in tutte le persone?

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