Nel Salento c’è una tradizione che in realtà rappresenta qualcosa di molto sentimentale: è la puccia col tonno (e un sacco di altre cose) al pranzo della vigilia dell’Immacolata.
Il mio più antico Maestro, giornalisticamente parlando, in giorni come questi l’avreste trovato a fare la fila di fronte a un forno locale. Una settimana prima avrebbe chiamato i fornai, dicendogli quante pucce avrebbe acquistato. Non era il solo. Ma era il solo che conoscessi a riuscire a coniugare completamente lavoro e passione gastronomica.
La puccia della vigilia dell’Immacolata è da sempre un rito che arriva fino a noi. E che, dalle mie parti, prende il nome di «digiuno». Sì, come ha scritto Andrea Baccassino qualche anno fa, il Salento è
«l’unico posto al mondo in cui la parola “digiuno” significa “mangiare una puccia iperimbottita seguita da una ‘ncasciata ti pettule”.»
Sì, perché nella puccia ci vanno il tonno, magari il formaggio (decisamente, una serie di preparatori kosher si staranno sentendo mancare al momento), funghetti sott’olio, finocchio selvatico, olive denocciolate, giardiniera piccante, peperoncini. L’unico ingrediente che potenzialmente non ci va è la carne (o il salume e l’insaccato). Per il resto vi potete sbizzarrire. Idem con le pittole (o pettole che dir si voglia, con suono aperto o chiuso sulla seconda sillaba in base al posto della Puglia da cui provenite). Anche le pittole possono essere “senza niente” (cioè acqua, lievito da birra, farina, sale e zucchero, ma senza aggiunta di ulteriori ingredienti), col cavolfiore, con la batata (come quelle che vedete nella foto in evidenza) o alla pizzaiola (ossia con tonno, pomodori, capperi e olive nere denocciolate). Poi di solito ci sono anche altre cose a tavola. Tipo i peperoni con la mollica, che io preparo sempre in pignatta. E il vino bianco.
Religiosamente parlando, questo digiuno segue delle regole un po’ particolari. Non si mangia nulla fino a pranzo, poi a pranzo è in vigore l’astinenza dalla carne. E quindi si mangia pesce e un sacco di verdura. O solo la verdura se avete fatto una scelta alimentare etica.
Potrei stare delle ore a parlarvi delle pittole o delle pucce. Ma la verità è che ogni volta che penso a queste cose, mi viene in mente quando si impastava il pane in casa della nonna. Quando, da adolescente, passavo da casa sua dopo la scuola e mi dava le pittole calde appena uscite dall’olio bollente con un bicchierino di vino. Le persone si riuniscono in questa specie di ricorrenza, che non è una festa religiosa, ma una tradizione alimentare. Che si sia famigliari dal punto di vista dell’albero genealogico o si sia famiglia d’elezione (cioè amici), la puccia è un modo per riunirsi intorno a un tavolo.
Non so quanti in questa giornata particolare potranno farlo. Gli spostamenti sono sconsigliati a causa del Covid-19 ed è anche giusto: ognuno a casa sua se non è necessario uscire, si tratta di una scelta responsabile, per se stessi e per gli altri, soprattutto per i più fragili. E allora non resta che affidarsi ai ricordi, perché io mi ricordo anche il profumo e le dita sporche di farina, e la digestione lenta.
Quando si è lontani da casa come me in questo momento ci si attacca ai ricordi. E si provano nuovi modi per dirsi che ci si vuole bene. Anche se forse non ci riempiono tanto la pancia. E neppure il cuore.