Poco più di cinque anni fa mettevo alla luce il mio primogenito. Che da quel momento mi sembrò essere stato da sempre con me.

Non c’è niente di male nell’essere come mia madre. Certo, è una madre bizzarra che mi ha instillato più paure che certezze (e che mi raccontava di genitori di amici il cui figlio era nato morto, lo faceva mentre ero in ospedale in minaccia di aborto, per dirne una). Però, come la nonna d’altra parte, io l’ho sempre vista come una gran lavoratrice, uno spirito creativo e come una persona indipendente. Ciononostante, credo che sia normale non voler assomigliare alla propria madre, per un sacco di ragioni. Una di queste è che forse ci si sente in difficoltà nel notare in un altro i propri stessi difetti.

Oh, questa non è mia, è di Oscar Wilde credo, ma comunque la trovo una massima molto valida. In ogni caso, se guardo a chi ero sei anni fa, mi sembro un’estranea. E questo perché non avevo mai pensato di avere un figlio, mentre ora che ce l’ho, non solo mi sembra di non aver mai vissuto un’altra vita, la sua presenza è per me importante, quasi indispensabile. E sicuramente io non ho un grande istinto materno, né sono la madre dell’anno. Sono solo una che prova a fare la cosa giusta.

Sei anni fa credevo che avere un figlio fosse qualcosa che la società ritiene obbligatorio per le donne. E il mio istinto poco materno mi aveva detto chiaramente: scappa! Però alla fine è successo, ed è stato esattamente come mi disse un vecchio amico che non sento o vedo da quindici anni circa: quando fai un figlio, tutte le cose si mettono a posto. Non perché si mettono a posto da sole, ma perché tu trovi il modo, la forza dentro di te, per farle girare nel modo giusto. Tu ti sforzi per lui di fare la quadratura del cerchio. Anzi, non ti sforzi nemmeno, ti piace quasi che sia tutto a posto, che il mondo per lui non sia una strada spianata ma una strada interessante da percorrere, insieme oppure no. Sei perfino consapevole che gran parte di quella strada lui la percorrerà senza di te, come in quel libro del Dr. Seuss, Oh, quante cose vedrai!:

La vita è un gran esercizio d’equilibrio.

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Qualche volta ho parlato con altri amici che, insieme a me, aspettavano un bambino nello stesso periodo. Le nostre paure erano le stesse: non essere adeguati alla persona che stava arrivando. Poi, quando quella persona arriva, accade qualcosa di davvero magico: sai esattamente cosa fare. Magari ci saranno momenti di scoramento, di frustrazione. Ci si sente davvero inadeguati, ma dura poco. E si fanno un sacco di sbagli, ovvio. Però tutto quello che ti resta, volta per volta, è quel sorriso che, dall’altra parte, è il premio migliore che tu abbia ricevuto. E non immaginavi neppure che la tua vita sarebbe stata questa.

Naturalmente parlo per me, anche se leggete parecchi verbi impersonali. E magari parlo per qualche amico a me vicino con cui mi sono confrontata sul tema. Ogni persona è diversa, ed è giusto che sia così, tanto più che sono una strenua sostenitrice della genitorialità consapevole (e pianificata). Però c’è una cosa che non mi piace mai: il fatto che la mia genitorialità consapevole venga confusa con l’unica cosa che sono. Avere un figlio non mi descrive completamente, anche se per molti di noi è una priorità. Avere un figlio è stata una bella sorpresa, ma non sarebbe giusto per me, e soprattutto per lui, che la genitorialità mi assorba completamente, in tutto e per tutto. Io e lui siamo due persone diverse e un giorno vorrei che lui mi vedesse come io vedo mia madre: bizzarra e terrorizzante, ma anche indipendente.

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