Quando chiude un posto a cui siamo legati, perdiamo con esso un pezzo di noi stessi. Dopo l’emergenza Covid, queste perdite si sono moltiplicate.

di Paolo Merenda

Stessa storia, stesso luogo, stesso bar, cantava Max Pezzali in uno dei cavalli di battaglia degli 883, Gli anni (tra l’altro periodicamente giudicata la più amata dai fan nei vari sondaggi legati al brand di Pezzali e soci). Il titolo dell’articolo, invece, si riferisce a una canzone dei Subsonica, appunto Nei nostri luoghi, del 2007, che parla di come appaiono le cose nei ricordi.

Dopo l’emergenza Covid, lo stesso luogo e lo stesso bar non è più così scontato, con tutte le attività che hanno chiuso o cambiato gestione, seppur abbiamo già parlato in questo sito di un bar che invece prosegue l’attività. Ma non sono stati tutti così fortunati, e ce ne stiamo accorgendo col tempo.

Di uno mi sono già occupato, Zio Frank, che non ha riaperto dopo il primo lockdown, ma altri, non solo nel recente periodo, hanno chiuso i battenti. In realtà non è totalmente legato alla pandemia che ha cambiato la società, perché penso a un ristorante il cui titolare, divenuto amico e ospite a cena a casa, ha lasciato già anni fa il campo della ristorazione. Il suo era un locale, diciamo, caratteristico, con un paio di maialini che cuocevano ogni sera nei camini, e in cui gli avventori fumavano senza appesantire l’aria, data la particolare conformazione e l’altezza delle pareti. Un posto fuori dal tempo, in tutti i sensi, che non aveva neanche un nome, ma bastava indicarlo con il nome di battesimo del proprietario (peraltro abbastanza comune) e tutti capivano. Oppure un ristorante ancora aperto, il cui titolare è venuto a mancare poco tempo fa, o ancora un’osteria messa in vendita dallo storico oste del locale.

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La lista potrebbe allungarsi, alcuni hanno anche provato a ripartire dopo le varie chiusure nazionali, salvo poi gettare la spugna. Ma ciò che resta in chi li ha frequentati e vissuti, la forza del ricordo, è forse il maggior punto a favore. Pensateci: quante volte, nel dubbio, avete ripiegato per un pranzo o una cena leggera nei luoghi soliti, sicuri di trovarvi bene quando non volevate osare e andare alla scoperta?

Credo che ci siano molti concetti di casa, e uno è dove si va a mangiare. Non deve stupire che sia così, perché nel mondo occidentale “uscire” presuppone sedersi a un tavolo e mangiare. Anche l’aperitivo mattutino, in diversi posti, significa un bicchiere e piatti vari con panini e taglieri di salumi e formaggi, quasi un pasto in piena regola. L’apericena, tanto inviso a una fetta di italiani ma altrettanto amato dagli altri, è una evoluzione del bicchiere tenuto per compagnia con la sigaretta nell’altra mano, per chi fuma. «Andiamo a prendere un caffè» si trasforma spesso almeno in un dolcetto da accompagnare alla bevanda. Siamo una società che per far capire quanto tiene alla compagnia giusta, la allunga degustando con calma piatti prelibati.

E quindi le serrande improvvisamente chiuse sono, nel loro piccolo, senz’altro differente dalle grandi tragedie della vita, un crollo delle nostre certezze.

Siamo destinati dunque all’autodistruzione, macerati dal ricordo? No, perché come ho detto ci sono molti concetti di casa, tra cui i ristoranti soliti. Ma, se si affronta la vita col piglio giusto, le case possono cambiare, trovandone altre, magari meno caratteristiche, ma altrettanto confortevoli.

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