W Zappatore è un film del 2010 di Massimiliano Verdesca ambientato nel Salento. Nel cast il musicista Marcello Zappatore, che dà il nome alla pellicola, Sandra Milo, Guia Jelo e Monica Nappo.

Avevo iniziato a scrivere questo articolo non appena ho ricevuto la notizia della morte di Sandra Milo, ma poi sono stata fagocitata da altre cose. La prima cosa che mi è venuta in mente è questo film: W Zappatore. Si tratta di una pellicola grottesca, eccessiva e paradossale (tutte cose che mi piacciono alla follia) che racconta di un prodigioso chitarrista metal – Marcello Zappatore, che dà il titolo al film – inizialmente incastrato tra una madre iper-religiosa e una band in cui non può decidere nulla. Ma un giorno a Marcello, metallaro satanista nella finzione scenica, accade qualcosa di incredibile: sulle sue mani compaiono le stimmate.

La faccenda si complica tra ricerca di lavoro, madre rompiscatole, band che decide di marginalizzare questo «fiju de Ddiu» (sì, ci sono diverse espressioni tipicamente salentine in questa storia, come l’indelebile «te mangiu lu core», decisamente metal), attenzioni mediatiche ed ecclesiastiche. Ma Marcello riesce, nelle sue peregrinazioni dell’anima, a incontrare chi è dalla sua parte, formare una nuova band, in cui non manca la nonna: Sandra Milo, che viene doppiata nella parte cantata da Marta De Giuseppe. Questa è più o meno la trama, ma naturalmente mancano le sfumature e ho omesso il fatto che dopo che avrete finito di vedere questo film di Massimiliano Verdesca, non potrete smettere di cantare per giorni il tema principale della pellicola.

Qui inizia la parte che forse potete evitare di leggere se non avete visto il film, perché ci sono un po’ di spoiler. Cos’ha di fantastico W Zappatore? Innanzi tutto gli elementi cui accennavo: il senso del grottesco, l’eccesso, il paradosso. È come una fiaba metal in cui l’eroe è un principe con la chitarra (e con quella chitarra sì che fa miracoli, come nella vita vera) e deve affrontare varie peripezie, ovvero il furto della fidanzata (Monica Nappo), la fissazione per le melanzane della madre (Guia Jelo) e quelle crisi mistiche da cui non riesce, inizialmente, a sfuggire.

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Nel suo percorso, l’eroe-Marcello finisce per cimentarsi con diversi generi musicali, anche se alla fine sempre con una rilettura praticamente metal (tranne quando si tratta di Elvis). Marcello diventa come l’intera band dei Leningrad Cowboys di Aki Kaurismaki, ed è difficile non accostare i due film, date le pochissime parole del protagonista di W Zappatore, che però, essendo salentino, sicuramente non è caratterizzato dal peculiare mutismo dell’uomo finnico presente nei lavori di Kaurismaki.

Non manca una morte epica. Quella della nonna. Che, durante una battaglia musicale a colpi di metal, fa la cosa più metal (oltre a mangiare un pipistrello e bestemmiare) che vi possa venire in mente: morire sul palco alla fine dell’esibizione. Ne segue un corteo funebre, in cui la bara è trasportata in una vecchia Fiat Panda, ed è molto triste, soprattutto se si riguarda questo film oggi, perché la nonna, Sandra Milo, non c’è più per davvero.

Ma in fondo è questo che fa il cinema: ci abitua alla morte reale. In quell’incontro che di solito può durare dai 70 minuti alle 4 ore, ci viene insegnato che la vita è breve. Il cinema nasce e muore milioni di volte nelle nostre vite, con ogni film che vediamo. E ci aiuta a elaborare la separazione, il lutto. Abbiamo la bellezza a tempo limitato nelle nostre vite, per cui ci abituiamo, di volta in volta, a perderla.

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