Zohan è un divertentissimo film con Adam Sandler. Ma oggi è difficile rivederlo, per una ragione importantissima.

Ci sono film che vedremmo e rivedremmo all’infinito. A me capita soprattutto con pellicole che trovo rilassanti o significative, e tra quelle rilassanti preferisco le opere comiche, a volte anche al limite del politicamente scorretto o del grottesco. Una è Zohan, diretta da Dennis Dugan e interpretata da Adam Sandler, che è il protagonista, e John Turturro che è, in un certo senso l’antagonista.

Zohan racconta di un uomo – che dà il nome al film – impegnato nei servizi segreti israeliani. Un eroe nazionale, in grado di catturare i più pericolosi terroristi, compreso Phantom, palestinese visto anche lui come un eroe «dalla sua parte». Ma Zohan ha un sogno segreto: «fare tutti di seta morbida», ovvero diventare un parrucchiere. Così, durante una surreale lotta contro Phantom, inscena la propria morte e fugge negli Stati Uniti come clandestino sotto falsa identità. Negli Usa fa una serie di incontri: nuove amicizie che lo aiutano nel suo intento e anche qualcuno dal suo passato che, in maniera vendicativa, vuole fargliela maldestramente pagare. Ma Zohan intanto si innamora, diventa il parrucchiere più richiesto dalle vecchiette di New York e si prepara ad affrontare una grande sfida, ovvero quella contro coloro che vogliono sfruttare i contrasti tra israeliani e palestinesi fuori patria per inasprire la situazione di razzismo sistemico e giovarsene economicamente. Tra colpi di scena, stereotipi e risate garantite, si giunge alla pace.

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Ora: i contrasti tra israeliani e palestinesi affondano le loro radici in decenni di soluzioni errate e immobilismo da parte degli organismi internazionali. Era solo questione di tempo che una situazione tanto esplosiva tornasse a mietere vittime, e la congiuntura mondiale non ha certo aiutato. La guerra e il terrorismo sono cose orribili, e sarebbe davvero bello se si riuscisse a risolvere così, come accade in Zohan. Ed è in periodi come questo che è più difficile rivedere il film.

Vediamo film per ragioni individuali, ma la principale è che per due o tre ore sospendiamo la nostra incredulità e ci affidiamo a mondi immaginari. Come si fa a rifugiarsi in un mondo di fantasia quando il pensiero di ciò che sta accadendo nella realtà fa capolino? Come si fa a non rivedere le immagini di bombardamenti, morti e feriti? Come si fa a non pensare ai volti degli ostaggi? Proprio un film ci ha insegnato una cosa importante (cioè War Games): le guerre sono giochi di potere in cui nessuno vince. E in questo universo che non è certo nelle mani dei migliori, dei più saggi e dei meno interessati, la guerra assume proporzioni gigantesche e spaventose.

La verità è che sarebbe meraviglioso vivere in un film comico, in cui la pace esiste e ognuno di noi ride di se stesso. E in un mondo perfetto ciascuno ritaglierebbe la propria sceneggiatura come meglio preferisce. Nel mondo reale ci resta il cinema, ma sospendere pensieri e giudizi morali non è sempre facile.

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