Qualche anno fa, Cristina Pacella realizzò quest’intervista a Vincent Brunetti per il periodico bresciano Questo Mese Idee. Abbiamo l’onore di ripubblicarla.
di Cristina Pacella
Una città immaginaria, caleidoscopio di maioliche, mosaici, quadri e sculture, costruite con materiali di recupero. Per arrivarci, attraversiamo vigne e orti profumatissimi. Siamo a Vincent City, a Guagnano in provincia di Lecce, lungo un percorso cicloturistico meta di tanti visitatori e curiosi. Qui Vincenzo Brunetti, in arte Vincent, ha dato vita al suo eremo, emblema di libertà. Vincent City, in via Case Sparse, 718, si presenta come un cantiere a cielo aperto ed in forte espansione, in continua evoluzione grazie alla creatività ed energia di Vincenzo, ribattezzato «libellula del Sud«. Vincenzo è considerato uno dei personaggi più emblematici della vita artistica meridionale e la sua creazione è un punto di riferimento per gli amanti dell’arte limpida e pulita. Nato a Guagnano nel 1950, dopo il diploma alla Scuola d’arte di Lecce, parte pieno di speranze per Milano, dove resta per oltre vent’anni, ricevendo diversi riconoscimenti artistici come l’Ambrogino d’Oro (1970). Nel capoluogo lombardo incontra personalità di spicco della scena artistica milanese come Francesco Messina, Giacomo Manzù che lo segue e incoraggia nel corso della carriera e Arnaldo Pomodoro che lo accoglie nella sua bottega.
Chi è Vincenzo, o meglio Vincent Brunetti?
Vincenzo è un artista, pittore e scultore, che vive per l’arte e per la bellezza e che cerca di diffonderla alle nuove generazioni, perché in questo mondo c’è bisogno soprattutto di bellezza e positività. Sono tornato alle mie origini per trasmettere questo, anche perché col passare degli anni sentivo purtroppo gli effetti della poliomelite che mi aveva colpito in tenera età. Due delicati interventi al piede sinistro mi stavano portando ad una quasi totale immobilità. Ma l’arte è stata la mia ancora di salvezza.
L’Eremo è nato quindi come riscatto, come risposta alla battaglia per la vita?
Sì. È diventata la mia zattera nel mare di problemi e pericoli che ho dovuto affrontare. Ho rischiato l’amputazione del piede sinistro, che stava purtroppo andando in cancrena a seguito dei due interventi andati male. Ho deciso quindi di lasciare Milano e sono tornato a Guagnano dove, grazie alla terapia della “lamina bior” del dott. Orrico ho lentamente riacquistato vigore e salute e sono tornato alla vita.

Come è nata la casa-museo?
Nel 1993 ho iniziato la mia rinascita, a partire dalla mia casa-museo, un atto d’amore che mi ha reso sempre più fecondo e operoso. Ha preso vita con molte difficoltà, soprattutto burocratiche, e con le mie sole forze, diventando espressione di libertà e dimora della felicità senza fine. Una felicità che ricevo ogni domenica dai 700-800 visitatori che vengono a trovarmi. Tanti italiani e tantissimi stranieri che visitano con interesse e curiosità Vincent City e che apprezzano le mie opere cariche di colori e luce, quella luce che voglio comunicare a tutti. Con orgoglio posso dire che in giro per il mondo ci sono circa 40mila opere che parlano la mia lingua.
La sua casa-museo è un inno all’arte. Cosa rappresenta per lei?
L’eremo è un punto di riferimento per quanti ancora amano il bello e tutto ciò che di pulito e onesto esce dal cuore e dalle mani dell’uomo. Nelle sale centrali, sono raccolte le opere a me più care. È un ambiente di “culto”, di “catarsi collettiva” per numerosissimi amanti dell’arte. Qui si respirano gioia di vivere, creatività, leggerezza e bellezza. La casa è un luogo aperto dove tutti possono venire, girare e curiosare. Io sono un profeta dell’arte e chi viene qui può trovarmi mentre dipingo, parlare di arte e concedersi un momento di riflessione. Il mio eremo è la trasposizione in pietra di una visione artistica, fatta di sublime e kitsch. Ci sono le opere a soggetto religioso, quelle che parlano di indipendenza e libertà, Madonne cristiane, Venere che emerge dalle acque, busti dei grandi della storia e della civiltà guardati a vista da un esercito di peluches, fiori, paesaggi, poesie, colori accesi e mosaici che prendono vita. È la mia Barcellona del Sud. Il mio ritorno alla vita 23 anni fa è ben visibile in ogni minimo dettaglio e tutti una volta messo piede qu respirano questa energia. Ho sdoganato la libertà con questo trionfo dell’arte.
Possiamo quindi dire che l’arte è di tutti e per tutti?
In quest’epoca caratterizzata dalla fretta, dallo stress, dall’ansia della vita quotidiana, l’arte è un antidoto che può certamente alleviare tutto ciò. L’arte è un investimento per rilassarsi, è come se fosse una medicina contro tutto ciò che è fonte di dispiacere. L’arte è di tutti. L’arte è coraggio.
Le foto relative a quest’intervista sono state realizzate dalla stessa Cristina Pacella.