Vita strappata è il memoir scritto da Nestore Bandello, che racconta della sua vita, con particolare attenzione al periodo di detenzione nel campo di concentramento di Wietzendorf Bergen-Belsen.
Ho sempre una grande paura: il negazionismo dell’Olocausto, dell’omocausto, dei campi di concentramento, delle stragi naziste potrebbe diventare sempre più forte. Diffuso, anche se non sappiamo quanto, lo è già. Ed è assurdo, perché oggi sono ancora in vita alcuni (pochi) reduci dai campi di sterminio. Una è Liliana Segre, una donna incredibile, sensibile e intelligente, che con il suo insegnamento ci riporta quotidianamente al senso dell’umanità. Purtroppo i sopravvissuti ai campi sono sempre meno, e mi chiedo cosa accadrà quando non ci saranno più, mi auguro nel tempo più lontano possibile.
Io l’ho conosciuto un uomo che è sopravvissuto a un campo di concentramento. Si chiamava Nestore Bandello, era un avvocato in pensione della provincia di Lecce, e ha scritto un memoir che raccoglie, tra le altre cose, i suoi diari della prigionia a Wietzendorf Bergen-Belsen (lo stesso in cui morì Anna Frank). Questo memoir, che ha avuto una prima edizione con il titolo di Memorie, si intitola Vita strappata: Bandello, infatti, racconta di aver strappato una volta, con un gesto di stizza, i diari della prigionia. Ma poi li ha “ricostruiti”, donati a tutti con il suo libro, affinché nessuno dimentichi, affinché nessuno smentisca.
Il documento è decisamente affascinante, perché contiene, oltre che le pagine del diario, anche alcune delle poesie che Bandello, pregevole compositore dialettale, scrisse: le liriche spaziano da componimenti d’occasione che riguardano proprio il campo di concentramento e i ricordi delle festività nella sua casa di Maglie, versi romantici che parlano di affetti famigliari, ma anche strofe satiriche, sia sul mondo degli avvocati sia sulla propria comunità d’origine.
Bandello vide di tutto e soffrì moltissimo nel campo di concentramento. Vide gli orrori degli esperimenti sugli ebrei, patì la fame, temette per la propria vita e al tempo stesso fu coraggioso, conobbe le differenze tra gli italiani anche in una situazione al limite. Ma, come spesso accade agli uomini di cultura e di lettere, la speranza viene fornita sempre da ciò che dà forza: la creatività. Nel campo, Bandello conobbe Giovanni Guareschi, dando vita, ogni domenica, a un intero giornale satirico, il Bertoldo, che aveva cessato le pubblicazioni nel ’43 e che in quel luogo di morte veniva diffuso solo per via orale. Per l’amico, Bandello riuscì a trovare carta (all’involucro di una lampadina) e lapis, affinché scrivesse una poesia dedicata ai suoi affetti famigliari, nello specifico alla figlia Carlotta.
Non era ebreo Nestore Bandello, era un fervente cattolico. Era italiano, un uomo retto e onesto. Era una persona cui i nazisti tolsero libertà e, temporaneamente, salute. A cui cercarono di togliere la dignità senza riuscirci. Ai nazisti non importava chi fosse. Ogni persona diversa da loro, ognuno cui poter fare del male, era solo un oggetto. È un simbolo Bandello, di quello che può accadere quando la malvagità umana, la banalità del male per usare le parole di Hannah Arendt, prevale: parafrasando Luciano De Crescenzo, siamo tutti meridionali di qualcuno, e ognuno di noi rischia di appartenere a una categoria di persone che viene vessata dai cattivi, a una categoria che viene emarginata e privata dei diritti fondamentali. Bandello, nella sua vita, è stato un esempio di correttezza e di empatia, qualità che ha sempre posseduto, ma che l’esperienza del campo ha reso solo più evidenti: sarebbe bello essere come lui, essere una persona forte, con una visione d’insieme e le certezze su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Per questo è importante tramandare il suo libro, continuare a leggere la sua storia.