Su Neflix è uscita la nuova serie di ZeroCalcare, Questo mondo non mi renderà cattivo.

Quante volte lo abbiamo detto. Questo mondo non mi renderà cattivo, titolo della nuova serie di ZeroCalcare, è probabilmente un insieme di parole che abbiamo pronunciato un sacco di volte. Io l’ho pronunciata questa mattina, mentre scoprivo che a un centinaio di persone, membri di famiglie arcobaleno in Italia, sono stati revocati dei diritti umani. E ho pensato che magari presto o tardi sarebbe uscito fuori il “fenomeno” a dire: sì, ma i diritti sostanziali? No, non è un argomento di benaltrismo, non possiamo focalizzarci sull’una o sull’altra cosa. Viviamo in un momento spaventoso, iniziato anni fa in qualche luogo del mondo, forse negli Stati Uniti, quando i bambini messicani, figli di migranti, venivano separati dalle loro famiglie. Viviamo in un momento in cui si finisce per pensare: e ora a chi toccherà?

Strappare lungo i bordi, precedente miniserie animata di ZeroCalcare, era stata toccante in particolare in riferimento alla nostra generazione. Ci eravamo passati leggendo La profezia dell’armadillo o Macerie prime, per cui quella storia ci apparteneva nel profondo. Questo mondo non mi renderà cattivo è proprio un’altra cosa, d’altra parte lui, Zero, l’aveva anche annunciato. Siamo di fronte a tutt’altra cosa: a una serie necessaria.

Cosa rende una serie tv necessaria? Quando uscì Twin Peaks nessuno usava il termine femminicidio, perché non esisteva ancora. Eppure, successivamente, abbiamo capito di cosa parlasse veramente (be’, più o meno, con Lynch non c’è mai da essere certi di niente). ZeroCalcare non anticipa nulla, vive nell’oggi spaventoso, un oggi che può essere salvato con l’empatia, con la lotta, con la comprensione. Tutte e tre insieme, perché una delle tre cose non basta ad avere una speranza, se non di vincere, di essere ascoltati.

Avrei voluto dilazionarne la visione, ma proprio non ce l’ho fatta. Questo mondo non mi renderà cattivo fa male e colpisce duro, ma non così tanto da interrompere la visione. Perché abbiamo la testa zeppa di «Un giorno vennero a prendere…» e «Ci siamo seduti dalla parte del torto…», ma forse dobbiamo toccare con mano quello che significa. Dobbiamo toccare altre mani. Come i tributi dei 75esimi Hunger Games che sanno di essere tutti sulla stessa barca.

Ma non è proprio così. Ci sono persone che salgono su una barca per scappare da cose che neppure immaginiamo. E la sola cosa che riusciamo a fare spesso è guardarli con paternalismo, trattarli con paternalismo (quando non li cacciamo, li trattiamo con sospetto, ci separiamo da loro, o peggio). Sarà che, come diceva Gramsci, siamo figli di Manzoni, mica di Tolstoj, ma è solo l’ennesima bugia, l’ennesima scusa che ci raccontiamo per assolverci tutti.

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