Abbiamo letto l’emozionante memoir di Andrew McCarthy: ecco perché tutti gli appassionati di Brat Pack dovrebbero leggerlo.
Sotto il nome di Brat Pack va una serie di pellicole, quasi un vero e proprio filone cinematografico, anche se al suo interno ne fecero parte film molto eterogenei tra loro. In quei cast c’erano diversi attori ricorrenti ed esistono liste differenti che annoverano questo o quello. Ma probabilmente in tutte le liste c’è Andrew McCarthy, che probabilmente in Italia è celebre più per un film “extra-Brat Pack” (Weekend con il morto) e nonostante abbia proprio girato un film in Italia.
Forse è possibile che lo conosciate di più come regista, dato che ha diretto molti episodi di Orange Is the New Black (alcuni con degli easter egg autoreferenziali ma molto simpatici) o anche qualcuno di Tredici, dove fa un cameo, interpretando il padre di uno dei protagonisti (come fu il nonno di Serena van der Woodsen in Gossip Girl).
Comunque McCarthy ha scritto in questo libro, Brat: an ’80s Story, e ora è al lavoro su un documentario su questo argomento. Ve lo dico subito: inutile che lo cerchiate in italiano, non esiste. Io l’ho letto in lingua originale ed è molto semplice da leggere, anzi è stato davvero piacevole, e se ci sono riuscita io che il mio livello d’inglese è a livello di “ferst riecscion: scioc, bicoeus” ce la potete fare pure voi.
Brat: an ’80s Story è un memoir in cui McCarthy parla in realtà della sua storia personale come attore, della sua infanzia, di come si è avvicinato alla recitazione, dei film in cui ha lavorato, dei suoi compagni di strada e anche delle problematiche che sono sorte lungo quella strada (come un abuso di sostanze e soprattutto alcol, che poi l’avrebbero condotto alla disintossicazione).
La narrazione è squisitamente cronologica, anche se di tanto in tanto ci sono salti in avanti e all’indietro, cercando connessioni tra passato, presente e futuro. La cosa che mi ha colpito molto è questa: McCarthy parla bene di quasi tutti, o comunque salva tutto e tutti, perfino le esperienze negative. Mi sono chiesta quanto questa narrazione fosse edulcorata, soprattutto perché quest’estate ho letto altri due memoir molto diversi, ma entrambi parlavano molto di cinema e uno in particolare – Bianco di Bret Easton Ellis – aveva un argomento di contatto con il libro di McCarthy.
Alla fine ho deciso che molto probabilmente McCarthy è stato sincero nello scrivere questo libro, e che quella lunga esperienza del Brat Pack non l’abbia reso emblema del nichilismo, come invece sostiene di lui Ellis, ma che invece l’abbia portato a essere una brava persona e un attore non proprio modesto, ma in fondo questo non è un suo dovere e non me lo rende meno simpatico.
Condivido con voi questa citazione tratta dal libro. Ve l’ho tradotta e siate buoni:
Etichettare qualcosa così facilmente equivale a non fare nessun ulteriore tentativo di comprenderlo. E ancora quell’etichetta mi elevava e mi buttava giù. Mi dava altezza ma mi rimpiccioliva, mi rendeva parte di qualcosa anche se mi isolava, mi dava una base e limitava le mie opzioni.
La verità è che il Brat Pack, e in questo sono d’accordo con McCarthy, è stato un calderone dispregiativo in cui sono stati gettati, giornalisticamente, attori e attrici che muovevano i loro primi passi a Hollywood. Ognuno con una storia, con un proprio carattere, messi insieme lì solo dalle circostanze, sebbene avrebbero condiviso momenti fuori dal set e talvolta durature amicizie.
Una delle parti che ho preferito sono quelle relative a Bella in rosa, uno dei miei film preferiti del Brat Pack, in particolare perché ci recita James Spader nel ruolo del bastardo: trovo che Spader sia un grandissimo attore e lo dimostrano alcuni film d’autore che avrebbe interpretato sia a ridosso del Brat Pack sia successivamente (tre esempi su tutti: Sesso, bugie e videotape, Crash e Secretary). Spader è tra l’altro interprete con McCarthy in Al di là di tutti i limiti, trasposizione cinematografica molto modificata ed edulcorata di Meno di zero di Ellis (che maltratta la pellicola nel sequel, il romanzo Imperial Bedrooms), e le parti di Brat: an ’80s Story su questo film sono anch’esse tra le mie preferite – e anche in Bianco sono state molto interessanti.
Cosa resta dopo la lettura di Brat: an ’80s Story? Una sensazione di benessere, un modo di vivere e di vedere le cose che non è attraverso lenti rosa, tuttavia con la capacità di comprendere che ci sono sempre degli ostacoli in un percorso che uno fa. Ma ci sono anche lezioni da imparare.