Come si spiegano alcune spiazzanti scelte di trama de Il Buco 2? Proviamo a spiegarlo.

di Paolo Merenda

Dopo il successo de Il Buco (2019), osannato e pluripremiato film del regista Galder Gatzelu-Urrutia (nato nel 1974 e praticamente con soli due film al momento all’attivo), lo stesso regista ci riprova con Il Buco 2 (2024), a cinque anni di distanza dal primo capitolo di quella che sembra essere ormai una saga, dato che si vocifera di un terzo e ultimo lungometraggio per chiudere il cerchio. Esperimento riuscito? Vale assolutamente la pena vederlo, ma forse l’esperimento non è riuscito del tutto. Facciamo un passo indietro per capire meglio.

Ogni tanto Netflix fa un’infornata di titoli nuovi, alcuni (seppur sia raro) nemmeno traducendoli. È celebre il caso di Squid Game, lasciato lì in coreano perché nessuno del team Netflix aveva scommesso tanto da tradurre i dialoghi per mesi e mesi. E invece il prodotto è diventato globale, con gadget di ogni tipo, tanto che è uscito Squid Game 2 ed entro l’estate arriverà Squid Game 3. Oppure parliamo di un altro prodotto spagnolo iconico, La casa di carta, entrato in sordina nel catalogo Netflix con le prime due stagioni autoconclusive, quelle della prima rapina in banca, i diritti acquistati per rimpolpare il prodotto serie tv, e oramai non si contano nemmeno più i sequel, i documentari e gli spin off.

Ma Il Buco, che peraltro era già stato premiato al Toronto International Film Festival e al Sitges, arrivò su Netflix il 20 marzo 2020, nei primi giorni di un periodo che ha cambiato la vita a tutta la popolazione mondiale, il lockdown dovuto al Covid-19. Mai tempismo fu migliore, e quella grandissima pellicola, un manifesto contro il consumismo feroce e a tratti brutale, ma anche molto poetico, fece il botto.

Ovviamente, sequel opzionato, possibilmente con stessi attori e regista, ed eccoci a Il Buco 2 (El Hoyo 2), che a suo modo si reinventa: seppur ambientato sempre nella fossa verticale e la cui sopravvivenza dei prigionieri è legata all’eventuale cibo che arriva, attraverso la piattaforma, fin nei piani più bassi, affronta il tema del fanatismo religioso in modo tremendo e squisito.

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PRIMO DISCLAIMER: Da qui cominciano piccoli spoiler che non vi rovineranno comunque la visione de Il Buco 2, se avete visto il primo. Quando arriveranno gli spoiler grossi inserirò un altro disclaimer, per adesso potete ancora leggere.

C’era un problema, che poi è lo stesso di Squid Game: il 99% di quel cast muore nel primo film, si salva il protagonista Goreng e pochi altri, sempre che sia ancora vivo (all’inizio ho lasciato il link in cui parlo diffusamente del film del 2019 e delle teorie sul cervellotico finale). Il regista Galder Gatzelu-Urrutia quindi fa tornare sullo schermo personaggi morti, come Miharu (la madre che cerca sua figlia), Baharat (quello della fune) e Trimagasi (quello del coltello affilatissimo), il che dà una sensazione disturbante, a metà tra il capirci ancora meno rispetto al primo film e la sensazione che sia un’operazione commerciale pura, senza contenuti.

Eppure la storia c’è: Perempuán, interpretata da una valida Milena Smit (nel 2021 di fianco a Penélope Cruz in Madres Paralelas di Pedro Almodóvar), entra nel buco per espiare una colpa non meglio precisata: lei, artista di fama mondiale, porta un fardello pesantissimo. All’interno delle celle, fa amicizia con Zamiatin (interpretato da Hovik Keuchkerian, già volto di Bogotà ne La casa di carta), a prima vista uno di cui non fidarsi, che ha scelto un accendino simile allo Zippo come oggetto da portare e lo accende guardandone la fiamma in modo preoccupante, ma invece si dimostra essere un gigante dal cuore buono. Il cibo sembra arrivare regolarmente a molte celle, ben oltre la media che abbiamo conosciuto nel primo Il Buco. In realtà si scopre che ciò accade perché tale Dagin Babi, con i suoi seguaci, ha fondato nella fossa una religione che predica l’uguaglianza per tutti, ma le cui pene per chi mangia ciò che non gli è dovuto sono terribili e sanguinarie.

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SECONDO DISCLAIMER: qui andiamo sugli spoiler pesanti. Se non avete ancora visto il film salvatevi il link, vedetelo e tornate qui dopo la visione.

Ovviamente, tutto il meccanismo crolla quando c’è una rivolta, da parte di chi si è trovato nella morsa religiosa per aver anche solo salvato un prigioniero di un altro piano (tra le regole ferree, c’è quella di piantonare il proprio piano senza spostarsi). In una lunga e violentissima scena, cadono le strutture, ma poco prima si viene a sapere anche perché la protagonista Perempuán si senta così in colpa e sia poco lucida: ha causato la morte accidentale di un bambino per una sua creazione artistica su cui erano state poste diverse lame.

La spirale che porta alla fine, punto in comune con il film precedente, è condito da altre persone che dovrebbero essere morte, perché uccise nella prima pellicola. Ma, mentre mi scervellavo per cogliere tutti i segnali (in vista dell’articolo che state leggendo), visto che il finale sembrava ancora più metafisico de Il Buco, arriva l’illuminazione da parte del regista. La poca lucidità di Perempuán poteva essere il gancio per farla saltare da una dimensione all’altra, dai vivi ai morti (teoria che comunque per me resta in piedi e sarebbe una godibile chiave di lettura). Invece, nella scena finale, proprio gli ultimi 20 secondi, il magnifico punto di svolta. La giovane Perempuán scende, come Goreng nel film precedente, sotto l’ultimo livello, e dopo un indefinibile tempo di attesa, vede scendere… Goreng, che è il suo fidanzato e che, anche lui, nel primo film entrò sì nella fossa per smettere di fumare, ma lasciando trasparire un evento della sua vita con cui non riusciva a fare i conti.

Trimagasi, Baharat e gli altri non potevano quindi essere morti, ed è il modo per spiegare il finale de Il Buco 2 in un grossissimo spoiler di sole tre parole. È un prequel. I personaggi risparmiati a una sanguinosa fine ne Il Buco 2, andando avanti nella linea temporale come noi la conosciamo, arrivano a Il Buco, dove li incontra Goreng e muoiono per le cause più diverse. Peraltro, un piccolo indizio che fosse un prequel c’era stato all’apparizione di Trimagasi, al livello 72 come nuovo compagno di Perempuán, dopo la morte di Zamiatin: ne Il Buco, Trimagasi dice a Goreng di aver cominciato il suo viaggio nella fossa al livello 72, nove mesi prima, dando chiare coordinate anche del lasso temporale.

Film non eccezionale, senz’altro non all’altezza del primo, ma che si salva abbondantemente per il finale, per il modo in cui le scene, sempre meno chiare, trovano una linearità totale e completa con una pillola di 20 secondi, forse anche meno. In caso si faccia, il terzo film lo vedrò, ha meritato la mia attenzione.

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