Oggi, dicevamo nel precedente intervento, è l’ottantesimo compleanno di Renato Pozzetto: ricordiamo una delle sue pellicole stracult.
Nel 1984, Castellano e Pipolo scrivono e dirigono un film con Renato Pozzetto destinato a diventare uno stracult per la commedia italiana degli errori. Il titolo è un parodia di un’altra pellicola drammatica di 30 anni prima con Grace Kelly. Naturalmente, Il ragazzo di campagna non ha nulla a che vedere con il film che ne ha ispirato il titolo, dato che è un film comico. Il quale parla di Artemio, contadino di Borgo Tre Case (frazione di Borgo Dieci Case), che dopo aver compiuto 40 anni, decide di andare a realizzarsi a Milano, stufo di pranzare a ragni in bocca, ricevere carezze con lo sputo dalle vecchie contadine, mangiare coniglio ogni volta che nelle vicinanze muore un gatto, andare a guardare il treno come fosse al cinema. L’anziana madre lo mette in guardia, perché «la città l’è piena di tentazioni, l’è tentacolare», ma non c’è nulla da fare: Artemio si mette alla guida del suo trattore e giunge a Milano. Ma la città non è affatto come se l’è immaginata, anche se lui sembra avere sempre «buone prospettive per il futuro», e si innamora di Angela, che è diplomata e lavora in una grande azienda, oltre a essere una tifosa sfegatata della Juve. Scontratosi con la città e anche con la polizia, Artemio viene rispedito a Borgo Tre Case con il foglio di via, ma nel riprendere la sua vita decide di abbandonare l’idea di sposare Angela e si mette invece con «la» Mariarosa, sua compaesana da sempre innamorata di lui.
Ci sono vari spunti di interesse in questo film. Intanto Il ragazzo di campagna è entrato nell’immaginario collettivo e nel linguaggio. L’intercalare «taaac» di Renato Pozzetto nella sua casa milanese al minimo dello spazio viene usato ancora oggi e non solo dai milanesi. Artemio è il simbolo dell’italiano medio di provincia, un po’ imbranato e cultore di una vita semplice, che si inserisce in un discorso più ampio, cinematograficamente parlando. L’anno dopo, Pozzetto avrebbe girato con Adriano Celentano Lui è peggio di me, che consiste parzialmente in un elogio della campagna (e della provincia) in contrapposizione con la città. Sempre nel 1984 invece, i fratelli Vanzina girarono Vacanze in America, dove Christian De Sica portò per la prima volta sullo schermo il personaggio di Don Buro, sacerdote originario della provincia di Frosinone, che viene ritratto di volta in volta alle prese con le tentazioni della città, da quelle dei ricchi rampolli di una scuola privata a quelle dei film porno, che hanno portato via da Frosinone una giovane rimessa sulla retta via proprio da Don Buro in Anni ’90 – Parte II.
Se fossimo negli Stati Uniti, Il ragazzo di campagna sarebbe al centro di un certo revisionismo e una certa critica. Forse noi italiani siamo più bravi a mettere tutto in una diversa prospettiva: molti di quei contenuti che nel 1984 raccontavano modi di fare e di pensare, oggi sarebbero bollati come sessismo e body shaming. A mio avviso, Castellano e Pipolo sono stati molto bravi a raccontare anche questa realtà: per quanto vogliamo edulcorare una pellicola e aspirare al cambiamento culturale, anche questi aspetti della società vanno raccontati. E Pozzetto ha incarnato un tipo, non un personaggio a tuttotondo, vittima e carnefice al tempo stesso di quegli aspetti sociali contro cui forse si punta anche il dito.
I nodi principali riguardano il personaggio di Angela, descritta come volubile e “leggera”. «L’è diplomata? – dice a un certo punto la mamma di Artemio – Allor l’è un puttanun». Non viene risparmiata la Mariarosa, allontanata da Artemio solo perché bersagliata dall’acne e poco avvenente. Quando Mariarosa si ripresenta da Artemio in shorts e senza l’acne, lui la porta subito a mangiare fuori, abbandonando per sempre l’idea di stare con Angela, che intanto è tornata sui suoi passi. Artemio fa sicuramente la scelta giusta perché Mariarosa è più simile a lui e insieme condividono un mondo, ma non è per quello che fa questa scelta: cambia idea perché Mariarosa è diventata bella ai suoi occhi e perché si rende conto di non voler vivere più a Milano.
Ciononostante, noi italiani (non per filonazionalismo, ma perché tendiamo a mettere la risata al primo posto delle nostre priorità) e riusciamo a guardare nel sottotesto e nel sopratesto de Il ragazzo di campagna, il film resta uno stracult, che resiste al tempo.