Oggi diamo quasi per scontata l’istruzione alle donne, ma non sempre è stato così: Mona Lisa Smile è un film che sfata i cliché sulle possibilità delle donne delle classi alte in passato.

È da un po’ di tempo che giro intorno a una questione che mi sta molto a cuore e sulla quale vorrei scrivere qualcosa prima o poi. Sono, per formazione e per inclinazione, una medievista: questo significa che mi viene l’orticaria ogni volta che leggo che il Medioevo viene associato a un periodo buio e misogino. E se, sui social, ribatto qualcosa, mi viene risposto che le donne che potevano essere single, che potevano impegnarsi in arti e mestieri, erano solo quelle ricche. Probabilmente questa consapevolezza è legata al fatto che le donne più note di quel periodo, da Marie de France a Maria d’Enghien, fossero in effetti di ascendenze gentilizie, ma è comunque errata, però solo se ci riferiamo al Medioevo. Dalla Controriforma cattolica agli anni ’60 del Novecento, le donne furono oggetto di un attacco culturale senza precedenti su ogni piano della loro vita. Anche quelle ricche che, proprio per non scardinare lo status quo di profondo privilegio, furono più restie ad abbattere gli stereotipi di genere. E questo ci porta alla trama del film Mona Lisa Smile (scusatemi il lungo preambolo che forse vi sarà sembrato una divagazione).

Si tratta di una pellicola del 2003 diretta da Mike Newell e interpretata da un cast incredibile: Julia Roberts in primis, Kirsten Dunst, Julia Stiles, Maggie Gyllenhaal, Ginnifer Goodwin, Marcia Gay Harden, Topher Grace, John Slattery, e più defilate ci sono anche Kristen Ritter e Lily Rabe.

La storia è ambientata nel 1953 in una scuola preparatoria privata per ragazze, il Wellesley College, dove le giovani donne vanno a prepararsi per l’università, ma non è detto che ci arrivino perché finiscono in gran parte per sposarsi prima e per ricevere dei trattamenti particolari nella loro transizione da studentesse a “padrone di casa”. Qui arriva Katherine Ann Watson, una docente di storia dell’arte che deve scontrarsi con una serie di difficoltà: viene osteggiata dalla direzione della scuola ma anche dalle famiglie delle allieve, si sente sola e in più le stesse studentesse la mettono in difficoltà. E allora l’insegnante dà alle ragazze la sola cosa che nessuno aveva mai dato loro: insegna com pensare con la propria testa, come opporsi agli stereotipi di genere (talvolta anche con troppa forza, senza comprendere che femminismo significa anche che ci sono donne che desiderano essere davvero madri e mogli e bisognerebbe lasciare spazio a tutte), insomma insegna loro a inseguire la felicità.

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Nella storia di Mona Lisa Smile – che è un riferimento sia al sorriso enigmatico della Gioconda, che alle studentesse è richiesto di analizzare, sia allo splendido sorriso di Julia Roberts che viene chiamata Monna Lisa da un collega che si invaghisce di lei – hanno ampio spazio le storie delle singole studentesse, che lottano ognuna contro il proprio retaggio: l’essere sovrappeso, la ricerca della perfezione, il sesso che non è amore.

Quindi Mona Lisa Smile sfata un falso mito: la condizione femminile all’interno delle classi più abbienti non è che fosse meno avulsa da stereotipi e da obblighi morali. Anzi appunto queste donne faticavano anche di più a liberarsene, perché non riuscivano a fare gruppo: è sempre molto difficile abbandonare il privilegio se è quello in cui si è vissute fino a quel momento.

Il film Mona Lisa Smile rappresenta secondo alcuni una sorta di risposta femminile a pellicole simili incentrate su scuole private maschili, come L’attimo fuggente di Peter Weir e soprattutto Il club degli imperatori di Michael Hoffman.

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