In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne mi sono lasciata andare a una considerazione mediatica.
Questa mattina mi sono imbattuta in questo aggiornamento del Marta (il Museo Archeologico Nazionale di Taranto), che ha raccontato del mito di Alcmena e della sua raffigurazione.
Qualche anno fa, mi chiamarono per presentare in un paesino vicino al mio una proiezione de Il corpo delle donne di Lorella Zanardo, documentario che si propose di scandagliare l’immagine della donna nell’immaginario collettivo attraverso la sua trasposizione mediatica (in particolare quella resa dalle emittenti nazionali private).
In questo tempo abbastanza lungo – ipotizzo che siano trascorsi almeno una decina di anni – sono successe molte cose. La nostra sensibilità è cambiata passando attraverso vari step, uno e probabilmente il più importante dei quali è il #MeToo, il movimento che ha promosso la verità sulle molestie sul posto di lavoro (in particolare nel mondo dello spettacolo ma non solo).
Per cui quando ancora oggi ci capita di assistere a delle esternazioni di violenza contro le donne, di sessismo o di misoginia, ci indigniamo più di quanto sarebbe accaduto in passato. Molto di più. C’è ancora molto da fare, ovviamente, ma abbiamo imboccato la strada giusta. E sono certa che le future generazioni, che già sono più sensibili ai temi della discriminazione e della violenza, riusciranno a vivere in un mondo migliore.
Però poi oggi mi sono imbattuta in questo video.
E poi in questo.
Non avevo notato il prosieguo (lo trovate sul Twitter di Trash Italiano) ma continuo a guardarlo ipnotizzata, chiedendomi come mai non si incastri il tacco nella grata del carrello.
E va be’, sì, insomma, cerco anche il modo di sdrammatizzare, anche se fondamentalmente non c’è niente da ridere. Non c’è talmente tanto niente da ridere che mentre vedevo i primi due filmati mi sono immaginata in sottofondo le musiche di Walter Rizzati con la camminata di Jenny Tamburi in Pierino la peste alla riscossa.
È bizzarro, ma da Jenny Tamburi ho iniziato a pensare ad altre icone sexy di quel cinema, in cui le donne erano meri oggetti sessuali. Come Nadia Cassini oppure Edvige Fenech. Poi ho pensato a Gloria Guida e soprattutto a Lilli Carati. E ho pensato al suo claim in Avere vent’anni:
Siamo giovani, belle e incazzate.
Ora, chi ha visto quell’incredibile film di Fernando Di Leo a suo tempo e chi l’ha visto invece in versione integrale, sa di aver visto due film differenti. Nella versione estesa, diffusa in dvd molti anni dopo, nella scena finale si assiste a un duplice brutale femminicidio. Che fu tagliato perché il pubblico prese male il fatto che Guida e Carati morissero. Ma oggi è diverso: oggi guardiamo ancora quel femminicidio con orrore, ma solo perché si mostra in tutta la sua verosimiglianza con la realtà.
La realtà ci appare meno edulcorata oggi, ma non perché esiste una dittatura del politicamente corretto, come afferma l’alt right. Esistono i fatti ed esiste una sensibilità che cambia in base alla diffusione della cultura e alla nostra capacità di discernere il giusto dallo sbagliato.