La storia dei poeti è diventata molto spesso oggetto di vere e proprie leggende metropolitane, che però vanno sfatate per restituire giustizia e soprattutto centralità all’opera. Non ne è esente Salvatore Toma, del quale riportiamo una testimonianza di Cesare Minutello a margine di un’iniziativa sul gruppo Facebook Ophis Magna: nella giornata di ieri sono state raccolte poesie, disegni e fonti sulla poesia e la vita di Toma.
di Cesare Minutello
Eccomi qui Totò, a scrivere di te, alle 22,30 di un 17 marzo di un anno che vede il tuo mondo sempre più preda di una deriva totale. Ma non è di questo che ti voglio parlare. Sai, Paola fa delle torte buonissime ed è da tempo che le ho promesso di farle visita, magari con una piccola bottiglia di nocino in dono, quello fatto in casa da mia cognata, ed è da tanto che, colpevolmente, non metto in pratica i miei intenti. Ma le ho anche promesso di dire la verità, la verità, finalmente, sui tuoi due ultimi giorni qui da noi. Non so perché ancora si ha timore di stralciare per sempre l’immagine del suicida, magari modello, come scrivevi tu. Come se tu avessi bisogno dell’aureola del suicida per affermare inconfutabilmente la tua grandezza ed il tuo mito. Sono i testi e la tua vita ad essere fuori dall’ordinario, unici, solari nel coraggioso affrontare tutti i giorni, giorno per giorno, senza la maschera delle convenzioni e degli abbrutimenti sociali.
Lo dico una volta per tutte, perché è tempo che si sappia con chiarezza, è tempo che Paola, i tuoi figli Giovanni, Pierluigi e Tebe non debbano più confrontarsi con l’immagine aleatoria ed infondata di un marito e padre suicida.
Toma aveva già tentato la strada della disintossicazione dall’alcol in quel di Carbonara, con risultati abbastanza soddisfacenti. Ma il bel tempo durò poco e la ricaduta fu peggiore del previsto. Toma però non si relazionava più bene col suo corpo e se è vero che per smettere di bere doveva smettere di scrivere, per non smettere di scrivere doveva e voleva stare bene. Per amore della vita e, quindi, della poesia.
Si confrontò con un medico di Maglie, che saltuariamente frequentava le Ciancole per raccogliere dei funghi, sì le Ciancole, il bosco regno del Great Poet. Decise di ricoverarsi all’Ospedale di Gagliano del Capo, dove il medico prestava servizio, ed ecco spiegato perché non a Maglie, o Scorrano, o Poggiardo, più vicini, o a Lecce, più facilmente raggiungibile.
In quei giorni fecero capolino dei fiocchi di neve. Fu il medico stesso a condurlo all’Ospedale. Non c’era alcun sentore di situazione particolarmente compromessa o irrecuperabile. Nella mattinata del 17 marzo a Paola fu comunicato che Salvatore versava in gravi condizioni. Si fece accompagnare da conoscenti e quando giunse a destinazione, prima di mezzogiorno, trovò Salvatore nella camera con una flebo, in un’Ospedale semideserto. La lingua come gonfia nel palato gli impediva di parlare. Era con gli occhi che tentò di comunicare con Paola.
Alle 15 dello stesso giorno fece ritorno a casa, già tornato natura. «Spesso penso alla morte/ al modo in cui dirò addio alla vita/ a come avrò la bocca in quell’istante/ le mani il corpo. /Vorrei morire mi dico/ senza saperlo/ a tradimento/ in un momento/ in cui non me l’aspetto…». L’aveva scritto, è successo.
Perdonami Totò, se oggi ti ho rotto i coglioni pure da morto. Ѐ che ci siamo incontrati, a volte, e ti piaceva parlarmi e da buon aspirante poetucolo stavo ad ascoltarti. Oggi, per una volta, ho parlato io.
Sei «un grande poeta/ uno di quegli artisti singolari», «infatti come chi tutto conosce» hai voluto goderti «la vita/ ogni momento/ piuttosto che avere alla fine/ la fregatura di un monumento». L’hai scritto. L’hai fatto.
Un saluto dall’AISdP (Associazione Internazionale Stanchi di Parole) che facesti nascere nel 1977 dandole spazio sul tuo Un anno in sospeso, nel luglio del 1979 e dai tanti amici che ti sono accanto e come bambini continuano a spostarti il vasino. Ma tu hai sempre una buona mira. A volte capita pure di sentire la tua voce.
Come un aereo solare
senza rumore
se non fra le ali
il canto di un vento luminoso
circondava il lanario
il vecchio casolare
desolato in collina
tra le spine e i papaveri.
Assorto
stavo lì a guardarlo
roteare a spirale
lento come sospeso
a caccia del rondone.
Si spostava
ogni tanto
anche più di là
fra gli ulivi e il raro verde.
Un silenzio di fiaba
avvolgeva la collina.
(La foto in evidenza appartiene a Pietro Notarnicola, che ringraziamo: la pubblichiamo su gentile concessione).