Yara è un film Netflix diretto da Marco Tullio Giordana: una delle cose interessanti che avviene nella pellicola è il fatto che la vittima dell’omicidio torni centrale nella sua stessa vicenda.

È un copione che già abbiamo visto. Non quello del film Yara su Netflix, ma quello cui la cronaca nera ci ha abituati. Attenzione, non è uno dei limiti dell’informazione, ma un fenomeno legato al nostro senso di giustizia. I fatti di cronaca nera che ci colpiscono di più sono quelli in cui ci immedesimiamo. E spesso riguardano vittime minorenni. Come Yara, che in un giorno di novembre 2010 è stata strappata a chi le voleva bene. E ora un film ci restituisce, ci racconta chi era: i suoi sogni, le sue passioni, i suoi amici. Mentre prima, forse, ci siamo concentrati troppo sull’uomo che è stato condannato per il suo omicidio, Massimo Bossetti.

Quello di Yara Gambirasio è stato un caso di cronaca che ci ha mostrato delle cose un po’ diverse dal solito. Non abbiamo visto una famiglia travolta dal circo mediatico, ma abbiamo immaginato queste persone riservate chiuse nel proprio dolore. Abbiamo scandagliato la vita di Bossetti, con quella foto con i cani, e ci siamo chiesti: possibile che un uomo che ama tanto gli animali può aver compiuto questo crimine (e ancora oggi, dopo tre gradi di giudizio, ci sono molte persone che pensano sia giusta una revisione del processo, ma è un’altra storia)?* Abbiamo scoperto che esisteva un paese chiamato Brembate e per certi versi l’abbiamo accostato ad Avetrana, teatro, nello stesso periodo, di un crimine simile, quello dell’omicidio della povera Sarah Scazzi. Nel nostro immaginario collettivo sono corse tutte queste cose a lungo.

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Ora facciamo un esercizio diverso. Immaginiamo un nastro che fende l’aria, elegante in ampie volute. Immaginiamo un sorriso, incorniciato da un apparecchio ortodontico, a sottolineare che quel sorriso è straordinariamente, troppo giovane. Immaginiamo una famiglia felice, comune. Immaginiamo una palestra in un paesino, con tanta musica e tante risate. Immaginiamo una penna che corre su un diario segreto, una penna che cita don Mazzi e che racconta la propria giornata, le proprie crush, gli scherzi con papà. Immaginiamo la neve, che scende sottile in un giorno di novembre. E alla fine immaginiamo un aeroplanino telecomandato che scopre l’orrore, l’orrore cui una bambina è stata costretta, inseguita, aggredita, colpita, lasciata morire al freddo.

Si comincia a guardare Yara perché forse quella storia ci ha toccati nel profondo a suo tempo. Ne scopriamo sicuramente altre, tra cui quella di una gip contro tutti che cerca di arrivare alla verità, quella di un padre distrutto che cerca solo di mantenere il rispetto per la figlia, quella in cui siamo certi che esista un posto sicuro ma questo posto sicuro non esiste, mai. E poi si resta a guardarlo, tra le lacrime, per capire, nonostante la vicenda, il Dna, Ignoto 1, le polemiche politiche e tutto il resto si conoscano a menadito.

Il merito più grande di Yara, al netto della dicotomia tra buoni e cattivi forse un po’ troppo naif, è però quello di restituire centralità alla vittima. Il film ci ha infatti ricordato che, al di là degli aggiornamenti di cronaca, quelli del passato e quelli del presente, c’è una bambina, morta di freddo dopo essere stata aggredita da qualcuno molto più forte di lei. E che ogni tanto è a lei che dovremmo pensare, è lei che dovremmo ricordare, conoscere. Ci sono e ci sono state molte Yara nella storia della cronaca nera, ma questo non significa che ognuna di loro sia solo un numero, una statistica, una delle tante.

E noi continuiamo a pensarla così Yara, leggera come la farfalla che questa ragazzina portava nel suo nome.

* Una piccola riflessione personale e professionale a margine della cronaca. Molti anni fa, durante uno dei corsi per la formazione continua dei giornalisti, ci dissero che la dignità delle persone va tutelata, di tutte, anche di chi magari ha perso una serie di diritti a seguito di una condanna penale. Per questa ragione, le foto non dovrebbero mai ritrarre individui in stato di costrizione (per esempio in manette). Le foto di Bossetti in arresto rappresentarono a suo tempo, a mio avviso, un caso emblematico in tal senso, ma ovviamente non sono le sole, per cui mi chiedo se esistano delle deroghe a questa norma deontologica. Se qualcuno ha una risposta seria ce la può scrivere nei commenti social.

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