Il 5 aprile 1994 scompariva Kurt Cobain, lasciandoci con uno dei più grandi misteri della storia della musica.

Naturalmente non mi voglio addentrare nelle teorie del complotto sulla morte di Kurt Cobain, quanto che invece sul fatto che la sua scomparsa ci abbia invitato a riflettere su una cosa: il peso della celebrità non può essere portato da tutti.

Cobain è stato un artista incredibile: negli anni ’90 lui è stato un re della musica, non solo del grunge. L’eredità musicale dei Nirvana non è stata uguagliata. Anche se poi Dave Grohl ha fondato i Foo Fighters ed è diventato un personaggio amato e stimato come mai prima – nonostante abbia sempre avuto un grandissimo talento – ma i Foo Fighters sono altra cosa rispetto ai Nirvana. I due progetti, interessanti in modo diverso, non sono paragonabili.

C’è qualcosa nella musica di Cobain che fa sorridere e fa piangere, che emoziona in maniere molto contrastanti. Come quei dolci al cioccolato e peperoncino che fanno in Messico. È dolce e al tempo stesso punge il palato.

La verità è che la morte di Cobain ci ha aperto un mondo: ogni sensibilità è adatta a portare il peso della fama? La risposta breve è: no. La risposta lunga: no, altrimenti non sarebbe capitato ad altri.

Nella storia dello showbiz sono molti gli artisti che sono scomparsi in circostanze misteriose, infelici, schiacciate dal proprio talento e dal riscontro del pubblico. Non solo i musicisti del Club 27 – con l’eccezione, in un certo senso, di Amy Winehouse, per la quale si è parlato tanto delle pressioni lavorative che la cantante dovette subire (se avete curiosità, guardate il documentario 27 Gone Too Soon).

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Quello che è accaduto a Cobain viene spesso accostato alle vicende di due divi del cinema. Una di essi è Marilyn Monroe, che i posteri hanno dipinto con una donna estremamente infelice, non solo per la situazione contingente al momento della morte, ma per il suo background e per il modo in cui la sua arte abbia finito per stritolarla. L’altro è uno dei miei attori preferiti di tutti i tempi, Philip Seymour Hoffman, che ci ha fatto rendere conto quanto poco sappiamo di quelle star che ci emozionano sullo schermo.

Cobain se n’è andato con un colpo di fucile, ma non come Il rimarchevole razzo di Oscar Wilde. Ha fatto rumore e in quel rumore abbiamo potuto scorgere tutte le note che ancora non aveva suonato. E che ora, come un’eco, ci risuonano nella testa.

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