Ho visto in un giorno tutta la quarta stagione de La Casa di Carta: ho pianto e mi sono arrabbiata, soprattutto con me stessa. (Spoiler alert: non aprite l’articolo se non avete finito di vedere la quarta stagione).
Ogni volta che cedo a La Casa di Carta mi arrabbio con me stessa. Perché in realtà mi sento ipnotizzata da qualcosa che non mi piace, eppure non riesco a smettere di guardarla (e non solo perché il Professore è davvero sexy).
Sapevo già che questa non sarebbe stata l’ultima stagione. Netflix aveva annunciato urbi et orbi sui suoi canali social quando sarebbero uscite alcune delle sue serie di punta, aggiungendo anche se fosse stata la stagione finale. Avevo capito benissimo quindi che la quarta non sarebbe stata la stagione finale per La Casa di Carta, ciononostante ho provato un certo disappunto. E sono una molto paziente, come tutti i fan di Twin Peaks che hanno atteso quasi 27 anni per una terza stagione.
Cosa non mi è piaciuto. Partiamo dall’inizio e cioè dal fatto che continuamente ne La Casa di Carta propongono dettagli che servono a creare un raccordo con i fan italiani, che sono tantissimi. In questa stagione, abbiamo visto nuove riprese dal monastero a Firenze, un matrimonio con Berlino che canta Ti amo e tutti gli altri che ballano Centro di gravità permanente intonato da un coro di monaci, abbiamo scoperto che Palermo abita a Palermo e abbiamo ascoltato Bella ciao al funerale di Nairobi.
E qui arriviamo al mio sommo disappunto. Nairobi è morta. Era uno dei pochi personaggi che mi spingevano ancora ad avere un pizzico d’entusiasmo nei confronti della serie. Ok, anche George R.R. Martin ha ucciso Jon Snow, ma poi l’ha fatto resuscitare. E si può dire che le morti di Game of Thrones fossero così devastanti come quella di Nairobi. La scomparsa di Ned Stark è necessaria alla trama, quella di Joffrey Baratheon molto meno cruenta. Cioè, per ammazzare Re Joffrey basta un bicchiere avvelenato. Per ammazzare Nairobi è stato necessario spararle a un polmone, poi è stata operata da una che forse non ha neppure finito il liceo, si è ripresa, si è innamorata, ha deciso di sposarsi, è stata sequestrata, seviziata e crocifissa. E ancora non voleva morire. Alla fine le hanno sparato in testa. Quanto ho pianto, davvero.
Una delle ragioni per cui le persone continuano a guardare La Casa di Carta è per via del senso di giustizia. I suoi personaggi sono eroi di tutti i giorni, bravi in qualcosa ma non bravi in tutto – soprattutto quando parliamo di relazioni interpersonali. Lo Stato e i suoi difensori sono i cattivi, cattivissimi. Se La Casa di Carta ha effetto su di me che credo fortemente nella democrazia rappresentativa, vuol dire che c’è qualcosa che ancora non ho afferrato.
Certo è che Netflix punta su La Casa di Carta e fa bene per una serie di ragioni. La serie piace e va bene andare avanti (anche questa è democrazia). Non dobbiamo dimenticare che nell’ultimo anno e nell’immediato futuro sono giunte al termina naturale o cancellate serie favolose. La prima di esse è ovviamente Orange Is the New Black, che la scorsa estate ci ha lasciati con una grande commozione.
La cosa peggiore, dal mio punto di vista, è che abbiano cancellato The OA – proprio quando avevo iniziato a capirci qualcosa. Mi piacerebbe pensare che Netflix cambi idea e ci dia un film conclusivo come è stato per, un’altra serie che mi è piaciuta molto, Sense8. Quest’anno chiuderanno anche Dark e Tredici – loro però giunte a termine naturale. Per Dark un po’ mi dispiace, perché è davvero un ottimo prodotto, mentre Tredici credo che avrebbe dovuto chiudere prima, anche perché tra poco gli attori diventeranno trentenni. Dubito chiuderà però Stranger Things – non ne è stata annunciata la fine, anche se la quarta stagione avrebbe dovuto essere l’ultima in base al disegno iniziale.
In buona sostanza, le serie che guardiamo non hanno a che fare con la critica, ma con il pubblico. E pubblico e critica non sono sempre d’accordo.