Contagion è un film che nel 2011, quando è uscito, a mio avviso non è esploso in tutto il suo potenziale. Certo, non è il nuovo Via col vento, ma i suoi messaggi erano e sono molto interessanti.
di Paolo Merenda
Contagion non a caso è stato riscoperto negli ultimi mesi, da quando l’emergenza mondiale per il Covid-19 si è fatta pressante, con la quarantena a cui siamo costretti. Perché, ok, siamo nella fase 2, ma da stare chiusi in casa a quando potremo andare a un concerto a pogare l’uno accanto all’altro ne passerà, se mai torneremo a quei livelli.
Contagion è un film creato per esplodere, dicevo prima, dato il cast, il regista e il budget (60 milioni di dollari). Alla regia Steven Soderbergh, che ha esordito nel 1989 con un gran film, Sesso, bugie e videotape, subito Palma d’Oro al Festival di Cannes e candidato all’Oscar, che però gli sfugge. L’appuntamento con il premio Oscar è solo rimandato, al 2001 quando il suo Traffic vince ben 4 statuette, tra cui una allo stesso regista. Ha poi diretto Ocean’s Eleven e i due seguiti, Twelve e Thirteen, di cui si ricorda il cast stellare oltre alla storia.
E un cast stellare è il marchio di fabbrica anche, appunto, di Contagion: Marion Cotillard, Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow, Kate Winslet, Bryan Cranston, Jennifer Ehle e potrei andare ancora avanti.
Interessante il ruolo di Gwyneth Paltrow, che fa la Laura Palmer del film: muore subito, fa “la morta” che torna in numerosi flashback ed è il personaggio cardine su cui si muovono gli eventi. Che sono appunto legati alla pandemia di Mev-1, dovuta a un virus simile all’influenza aviaria, mentre il mondo pian piano si ferma, per i malati, i morti e la ricerca (all’inizio) infruttuosa di un vaccino o una cura. Tutto mentre la ricerca scientifica dell’Oms va avanti, un blogger (Jude Law) grida continuamente al complotto, e le vicende personali di tutti loro hanno risvolti drammatici.
Ho letto da più parti di quanto «wow, ha predetto il futuro, incredibile», ma la realtà è molto meno affascinante: lo sceneggiatore, Scott Z. Burns, ha preso spunto dalla H1N1, l’influenza aviaria, scoppiata due anni prima, nel 2009 con lo spillover (il salto interspecico da animali a umani) dovuto alla lavorazione delle carni dei maiali. Anche la Sars ha dato elementi per creare la sceneggiatura, ma non c’è nessun complotto che il film ha cercato di svelare. Il passaggio animale-uomo nel film pure avviene attraverso i maiali, mentre i responsabili del coronavirus sono i pipistrelli.
Piuttosto, c’è una cosa che questo film insegna, e lo stesso vale per il libro Rabbia di Chuck Palahniuk: se a uno scrittore o uno sceneggiatore basta un po’ di fantasia per creare una situazione che poi si verificherà realmente in modo molto simile, perché la pandemia di coronavirus non è stata prevista e fermata per tempo? C’è bisogno di scrittori e artisti all’Oms piuttosto che di medici plurilaureati?
Domanda ovviamente ironica, ma forse qualcuno che pensa fuori dagli schemi serve a tutti i livelli. Arricchisce il confronto e la ricerca di soluzioni, e non è mai un male.
Scott Z. Burns, nel corso della realizzazione del film, ha parlato con diversi medici, e come ha affermato in un’intervista tutti gli hanno detto, nel 2011, che non era questione di «se» accadrà, ma «quando». Ora sappiamo anche il quando, fine 2019 e prima metà del 2020, sempre che finisca a breve.