Da circa una settimana, Netflix ha aggiunto al catalogo italiano l’opera prima di Jordan Peele, Scappa – Get Out.
Jordan Peele ha fatto per anni l’attore, al cinema e in tv. È stato ed è produttore. E nel 2017 ha scritto e diretto la sua prima opera da regista Scappa – Get Out, vincitrice di un Oscar per la migliore sceneggiatura e seguita, nel 2019, dal secondo film, Noi. Io li ho visti entrambi e credo che Peele abbia uno stile unico: nei suoi film, nulla è come appare, ed è spesso molto didascalico. Non ci sono finali aperti per lui, ma solo spiegazioni ben precise.
Scappa – Get Out prende le mosse da una situazione à la Indovina chi viene a cena. Una ragazza caucasica, Rose, figlia di genitori liberal, gli Armitage, porta per un fine settimana il suo ragazzo afroamericano Chris a conoscerli. Lui è agitato per molte ragioni: in primis quelle razziali, e in più non potrà fumare per tutto il fine settimana perché i genitori della giovane sono contrari al fumo.
Durante il viaggio accade un incidente: con l’auto, i due ragazzi investono un cervo e la polizia inizia a fare problemi all’afroamericano. Come si capirà successivamente, l’incidente con il cervo è una metafora, quella di un’intera etnia braccata, senza via di scampo, tra due fuochi. Perché Scappa – Get Out è un horror politico in piena regola, in cui viene puntato l’indice contro i pregiudizi e l’ipocrisia dei bianchi liberal. Dietro il velo di una famiglia apparentemente radical chic, c’è molto di più. C’è un risentimento atavico verso un’intera etnia, una voglia di rivalsa contro la natura e un Dio a cui non credono, sostituendosi a esso attraverso la scienza.
Non crediate però che Peele sia contro il progressismo, ma solo contro la propaganda che ha a che vedere con esso. Per spiegarvelo, devo ricorrere alla scena di un altro film, Malcolm X di Spike Lee. Nel biopic dedicato al grande leader musulmano, il regista newyorkese inserisce una scena in cui una donna caucasica si rivolge a lui, chiedendo cosa possa fare per la causa afroamericana. «Niente» è la risposta di Malcolm X. È un discorso complesso, perché è chiaro che ci possono essere delle buone intenzioni dietro a questa richiesta. Ma nella realtà le buone intenzioni possono risentire di vari bias che tutti abbiamo (ma neghiamo di avere).
L’incontro tra Chris e gli Armitage ha dell’inquietante e la sensazione peggiora mano a mano che si va avanti. C’è un’inquadratura della casa in campo lungo: Chris e Rose bussano alla porta, accolti dai genitori di lei. È quasi filtrata questa visione, e in effetti successivamente l’inquadratura si allarga su una persona che li sta spiando, il giardiniere afroamericano. Nella famiglia c’è anche una colf afroamericana agghiacciante: il suo modo di parlare è eccessivamente studiato e i suoi sorrisi sembrano malvagi e forzati, contemporanei alle lacrime che sgorgano sul suo viso. Ma è durante la festa che gli Armitage hanno organizzato per il fine settimana che Chris raggiunge il massimo del disagio, venendo a contatto con tutti i bias sugli afroamericani degli ospiti. Tranne uno, un bizzarro curatore di una galleria d’arte cieco, che dice di stimare molto il lavoro di Chris, che è fotografo. Una piccola curiosità, il curatore è interpretato da Stephen Root, già visto in vari film tra cui Fratello dove sei? in cui interpreta un altro personaggio non vedente. Alla festa, inoltre, Chris, incontra un solo altro afroamericano, che tra l’altro conosce. È vestito con abiti bizzarri e quando lui gli fa una foto, l’altro reagisce al flash dicendogli: «Scappa». Non vado oltre per non rovinarvi la sorpresa.
Una delle cose che colpisce di Scappa – Get Out è la tensione che si innesca fin dalla prima scena. C’è un ragazzo afroamericano in un quartiere semideserto che sembra essersi perso. È al telefono con qualcuno, gli dice che non sa dove si trovi esattamente. Viene avvicinato da un’auto di lusso, il cui autoradio manda Run, Rabbit Run. Dal suo interno, anche se non si vede, ne esce un uomo con un elmetto da antico cavaliere, che riesce a tramortire l’afroamericano e a rapirlo. In una scena viene riassunta tutta la storia che intreccia Europa e Africa e si sposta in America, per legittimare uno sfruttamento umano dalle conseguenze nefaste ancora oggi.
Nel cast figurano Daniel Kaluuya nel ruolo del protagonista, bravo e ovviamente molto sexy, come il personaggio richiedeva, Catherine Keener, che era stata una fantastica Harper Lee in Truman Capote – A sangue freddo, Erika Alexander in un piccolo ruolo. Ma soprattutto Caleb Landry Jones, che proprio nel 2017 ha dimostrato la sua versatilità grazie a questa pellicola, ma anche Tre manifesti a Ebbing, Missouri e Twin Peaks.