Il 26 agosto 2010, Sarah Scazzi scompariva: dopo oltre un mese avremmo scoperto che era morta quello stesso giorno.

Non riesco a ricordare prima cosa fosse, ma, da che ho memoria, la cronaca nera degli ultimi anni sembra essersi focalizzata sempre più sui colpevoli o sui presunti colpevoli. Così, quando è morta Meredith Kercher, i media hanno parlato poco di lei, quel tanto che bastava nell’essenzialità della narrazione, per poi concentrarsi sugli accusati – Amanda Knox, assolta in tribunale, è tra l’altro la protagonista di un’interessante, omonima miniserie Netflix.

Prima di diventare giornalista ci fu il delitto di Nadia Roccia e anche di lei si parlò poco, mentre la narrazione si spostò sulle condannate Anna Maria Botticelli e Mariena Sica, oggi libere. Mi sono domandata se non fosse che le vittime non possono più parlare. Perché, invece, per esempio, conosciamo tutti i dettagli del massacro del Circeo: Donatella Colasanti, una delle più grandi guerriere che la cronaca ci ha restituito, è sopravvissuta e fino all’ultimo ha lottato per ottenere giustizia.

Quando è scomparsa Sarah Scazzi, esattamente 10 anni fa, e poi è stato ritrovato il suo corpo, la narrazione è stata subito spostata sulla famiglia Misseri, all’interno della quale due membri sono stati condannati direttamente per l’omicidio. Ma chi era Sarah, cosa provava? Nel volume di Musicaos In bilico – Storie di animali terrestri c’è un racconto intenso di Marco Goi che si intitola Sarah e che prova a ripercorrere l’ultima giornata di vita di quella ragazza, la cui foto fece a lungo capolino nella cronaca nera dei giornali, sorridente per sempre nonostante il suo destino. Questo è l’incipit.

Mi chiamo Sarah. Ho 15 anni. Quando apro gli occhi guardo subito il cellulare: è il 26 agosto. Evvai, che bello. Fuori c’è il sole e tra un’ora parto per il mare. Oggi sarà una splendida giornata. Me lo sento. Me lo sento dentro me stessa, anche se per queste cose di solito non ci prendo molto. 

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A 10 anni dalla morte di Sarah è stata nei giorni scorsi annunciata la produzione di una serie tv tratta dal libro Sarah – La ragazza di Avetrana di Flavia Piccinni e Carmine Guzzanni. La serie sarà diretta da Pippo Mezzapesa, che secondo me è uno dei registi italiani attualmente più interessanti all’opera, un artista delicato, che sa raccontare le cose nel modo più giusto e poetico, col cuore.

Sui social, la notizia non è stata accolta da tutti come l’ho accolta io: per alcuni si tratta di monetizzare sulla tragedia, ma io non la vedo affatto così. Un telefilm su Sarah è una buona occasione per dare la parola a lei che non ce l’ha più, di spostare la narrazione sulla vittima, una ragazzina che probabilmente aveva dei grandi sogni, come tutti gli adolescenti. Certo, in un mondo ideale, Sarah sarebbe ancora viva perché in un mondo ideale non ci sarebbero gli omicidi. Ma viviamo in un mondo in cui gli omicidi non possono essere previsti come in Minority Report (e anche in quel caso avremmo degli enormi dubbi relativi al libero arbitrio e alla teoria del caos).

Quello che possiamo cambiare per certo è il tipo di narrazione e dare centralità a chi non c’è più: in questo modo nessun colpevole potrà diventare una Killer Star.

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