Nelle scorse settimane è uscito il nuovo disco di Gianluca De Rubertis, La violenza della luce. Il mio giudizio non tecnico ma da fan.
Le aspettative erano alte e sono state soddisfatte. Dopo Autoritratti con oggetti e L’universo elegante, è uscito il terzo album in studio da solista di Gianluca De Rubertis, dal titolo La violenza della luce. Come i precedenti, l’ho trovato un disco ipnotico: si fa quasi fatica a smettere di ascoltarlo in loop. E musica e parole si compenetrano tanto bene da ricordare a noi fan perché amiamo quest’artista: per la sua voce calda e rilassante, per il gusto vintage delle sue melodie, per il paroliberismo dei suoi testi.
Questo disco – scrive lo stesso De Rubertis nella nota alla stampa – intravede la sua luce in uno spazio-tempo molto rapido, violento e critico. Quelle buie cupole in cui a volte incappiamo ci danno la possibilità di scoprire quanto il chiarore possa esserci sfuggito, lo avevamo dimenticato quel chiarore, percorrendo innumerabili strade fuligginose e affondando i tacchi in continue pozzanghere. Lo stupore che deriva dalla presa di coscienza dell’orrore che si prova per sé stessi è anche il più formidabile acciarino che ci consente di appiccare un primo timido e delicato fuoco. Per questo le canzoni di questo album, io credo, vivono quasi tutte di una stessa vita, è un concept album privo di concetto, non lo è per definizione ma potrebbe esserlo per elezione. Alla base c’è questo. L’equilibrio tra una scrittura che riuscisse elegante e densa e una semplicità più prettamente “pop” non è stato assolutamente ricercato ma si è palesato, questa volta, in maniera del tutto automatica, a vantaggio di una cifra che sento più personale. Scrivere questo album è stato un esercizio di vita, e senza prendermi la briga d’essere la parafrasi di me stesso forse sono riuscito ad essere più diretto; o almeno lo spero. Senz’altro, e a questo tengo molto, sono stato sincero. I riferimenti soliti che tutti i giornalisti vorranno cercare all’interno delle canzoni non li rifuggo, sebbene non mi interessino. Lascio la libertà di segnalarli a chi vorrà farlo.
Personalmente mi ero innamorata di questo disco già a settembre, quando era stato rilasciato il primo singolo Pantelleria, seguito da Solo una bocca.
Pantelleria – aveva scritto in un’altra nota alla stampa De Rubertis – è un brano che mi è giunto in vesti misteriche, ad un risveglio d’una notte a Milo, in Sicilia, a due passi dalla casa di Franco Battiato. Non saprei riferire il come e il perché questa canzone sia affiorata quasi spontaneamente, quello che so è che per me è uno scrigno di superbe sensazioni provate anni fa tra i venti e i marosi di questa meravigliosa isola italiana.
Tra i due singoli è difficile scegliere il preferito, anche perché rappresentano due stili musicali entrambi pop ma completamente differenti. Per essi sono stati girati due video, entrambi diretti da Pierluigi De Rubertis, che firma anche la foto di copertina del disco che vedete in alto. L’opera nell’insieme ha un sapore moderno e antico allo stesso tempo, classico e contemporaneo: canzoni così non passano mai di moda.
La cosa che mi auguro è che tornino presto i concerti dal vivo, perché non vedo l’ora di poter ascoltare live quest’opera fantastica, che – mi ripeto – non riesco a smettere di ascoltare.