Provo a spiegare il significato, secondo me, di Sto pensando di finirla qui, film di Charlie Kaufman prodotto da Netflix. (L’articolo contiene moltissimi spoiler, non leggetelo se non avete visto il film).
Sto pensando di finirla qui. Una volta che arriva il pensiero resta lì. E si attacca, persiste, spadroneggia. Non c’è molto che io possa fare, credetemi, non va via. È lì che mi piaccia o no. È lì quando mangio, quando vado a letto, è lì quando dormo, è lì quando mi sveglio, è sempre lì. Sempre. Non è da molto che ci penso, l’idea è nuova ma nello stesso tempo sembra vecchia. Quand’è che è cominciata? E se non fossi stata io a concepirla ma mi fosse stata impiantata in testa già sviluppata? È un’idea non detta, non originale. Forse in realtà l’ho sempre saputo. Forse è così che doveva andare a finire.
Inizia così Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman: la voce fuori campo della protagonista interpretata da Jessie Buckley, un montaggio di carta da parati, vecchi arredi, una sedia a rotelle in un angolo, una Singer che aspetta solo qualcuno che la usi. L’estetica della pellicola ha un ruolo preponderante da subito, mentre lo scenario cambia, giunge su una strada, dove la protagonista attende Jake – che nomina nel suo monologo – suo fidanzato da 7, 8 settimane. Mentre lei è in strada un anziano la osserva. Non se ne vede il volto. Ma a partire da qui, aleggia l’impressione che quell’anziano e lo stesso Jake (interpretato da Jesse Plemons) siano personaggi scritti per un Philip Seymour Hoffman di vent’anni fa.
La prima cosa che viene in mente quando si ascolta il monologo iniziale è che la protagonista voglia uccidersi. Ma poi la si vede alle prese con una gita nella neve con Jake, per conoscere i genitori di lui. Nello spettatore subentra il dubbio: forse non sta parlando di suicidio, forse si riferisce all’inutilità di qualunque situazione sentimentale. Forse vuole solo lasciare Jake. Un po’ come nella filosofia di Ted Mosby prima di incontrare Tracy: ognuno di noi ha un certo numero di relazioni sentimentali, ma queste prima o poi finiscono, per cui che senso ha infilarsi nell’ennesima?
Sto pensando di finirla qui è un film in cui succedono moltissime cose strane. E in cui ci sono moltissimi dialoghi. Una delle prime cose strane, oltre all’uomo anziano che osserva dalla finestra è l’altalena nuova di fronte una casa distrutta. Poi accade che la donna, che Jake chiama Lucy, riceva una telefonata da una certa Lucy: non risponde, dice che è un’amica, ma che non vuole rispondere. Quando farete il rewatch del film su Netflix fateci caso: la donna riceve diverse chiamate, con nomi differenti (diventa Louisa quando la madre di Jake la chiama in questo modo, per esempio), come se la sua identità stessa stia cambiando, fino ad assumere quella di Jake, del quale vede passato, presente e forse futuro, reale o parallelo. La donna e Jake in fondo hanno molte cose in comune: sono due scienziati, sono molto colti e in auto non fanno che parlare. Ma è come se questo dialogo, benché fortemente dialettico (scusate il calembour), fosse in realtà tra due parti di una stessa persona. Perché quella persona sta lottando contro sé stessa.
Arrivati a casa di Jake, le stranezze si intensificano. Dalla stalla ai genitori, alle visioni e alle ulteriori telefonate che la donna riceve. Fino a un cane che non fa che scrollarsi la neve di dosso. Anche il tempo inizia a scorrere in modo bizzarro, così come l’età dei genitori di Jake – interpretati da Toni Collette e David Thewlis. La casa è cadente ma non troppo, trascurata, come le cose che diamo ormai per scontate, come lo specchietto retrovisore di Jake che è rotto, e la storia viene inframmezzati da lampi, come il finale di un finto film diretto da Robert Zemeckis. E poi c’è quella cantina, che è buia e fa paura, e dove la donna trova un uniforme da bidello, l’alter ego di Jake che si vede di tanto in tanto in questi flash, e che è il custode della scuola in cui Jake era maltrattato dai suoi coetanei per la propria goffaggine. C’è poi il dibattito sull’arte, che mano a mano sembra riguardare Jake e la donna molto da vicino.
Parlando con un’amica tempo fa, lei mi aveva fatto notare come il cinema di Kaufman le ricordasse David Lynch. E ci sono svariati punti in cui Sto pensando di finirla qui mi ha dato l’idea di un film sull’agorafobia: la donna sembra sempre sul punto di andare via, perché dice di avere un appuntamento il giorno dopo, ma sta per abbattersi sulla zona una tempesta di neve. Quindi è come non riesca ad andarsene, tanto che sulla strada del ritorno va a prendere una granita e fa una tappa nel liceo di Jake. E a me ha ricordato molto la storyline dell’agorafobica Audrey Horne nella terza stagione di Twin Peaks.
Anche perché Sto pensando di finirla qui suona come un sogno premorte: perfino gli abiti della protagonista cambiano colore quando cambia la luce, ed è come se tutto fosse l’immaginazione derivata dal delirio di una persona che muore assiderata in un’automobile sotto la neve. Inoltre l’atmosfera complessiva è da film di Lynch: la scena della cena è inquietante come lo è la scena della cena in Eraserhead, anche in assenza di polli che si muovono da soli.
Un’altra affinità con Lynch è la specularità dei personaggi della donna (che probabilmente ha un nome che inizia per L) e di Jake (le stesse iniziali sono in qualche modo speculari), come fosse un romanzo di Lewis Carroll: Jake e la donna sono due personaggi di Alice, ma uno ha attraversato lo specchio e l’altro no. Uno sa cosa accadrà nel futuro, l’altro lo subisce. Non a caso all’inizio Jake è come se sentisse i pensieri della donna. Ed è per questo che la donna imbocca Jake quando arriva il momento del dolce. E le foto sul muro di Jake bambino appaiono alla donna come le proprie, di quand’era piccola.
L’impatto alla prima visione del film è straniante, ma mano a mano diventa sempre più coinvolgente. Quello che consiglio è vederlo in italiano la prima volta per notare tutti i dettagli, e poi le successive in lingua originale, in modo da assaporare anche le sfumature del doppiaggio in prima persona degli attori. Il film, naturalmente, è disponibile su Netflix.