Tratto dall’omonimo romanzo di Lara Cardella, Volevo i pantaloni ci fornisce uno spaccato del maschilismo nelle regioni del sud Italia e a 30 anni di distanza presenta una serie di ragioni di interesse.

Nel 1990 uscì il film Volevo i pantaloni, che era tratto da un romanzo in un certo senso autobiografico, perché parlava di una diciottenne (all’epoca l’autrice Lara Cardella aveva quell’età)  che si scontrava con il maschilismo siciliano alla fine degli anni ’80. Quel film (come il libro) parlava di Sicilia, ma anche no. E dopo vi spiego anche il perché.

Nella storia, Anna (Giulia Fossà) frequenta il liceo. Ogni giorno va a scuola dalla campagna fuori città in cui vive e poi torna a casa. Non può tardare, non si può fermare con le amiche, non può avere un ragazzo. Padre, madre e fratello – ma anche tutta la comunità intorno a lei – controllano qualsiasi suo spostamento. Anna guarda con ammirazione e forse invidia le compagne di scuola che, di nascosto dalla famiglia, si truccano nei bagni della scuola, indossano la minigonna e i pantaloni. Lo fanno proprio tutte, tranne Angelina (Natasha Hovey) che può farlo alla luce del sole, perché è figlia di un ingegnere, ha una bella casa e organizza feste in cui ragazzi e ragazze stanno insieme, ballano e si innamorano. Angelina prende a cuore Anna, anche se le differenze culturali tra loro sono tantissime. E a una festa di Angelina, Anna conosce un ragazzo che inizia a frequentare di nascosto, mentre Angelina continua a prestarle dei vestiti e a truccarla. Finché un giorno sulla spiaggia non viene scoperta da un parente e tutti cominciano a chiacchierare, mandando la madre di Anna (Lucia Bosè) in uno stato catatonico, e così la giovane viene mandata a casa di Vannina (Angela Molina), la zia che comprende Anna. La ragazza si ribella: non vuole andare a casa della zia, ma non per Vannina che è sempre meravigliosa, ma per suo marito, che la molestò quand’era una bambina. Anna, una volta da Vannina, scopre che la zia vorrebbe fuggire con il suo amante (che però è troppo vigliacco per lasciare la moglie o lasciare Vannina) e il marito di questa non solo ha iniziato a molestare le due figlie bambine, ma prova a violentare Anna che, all’ennesimo assalto, fugge per chiedere aiuto a casa di Angelina. Anna, spezzata dal sistema, decide di fare il nome del ragazzo che aveva iniziato a frequentare, che poi diventa suo marito: solo ora è libera di iniziare una nuova vita con un uomo che più o meno la capisce. Anche il marito di Anna infatti è suscettibile a certi dettagli, ma forse l’arrivo di una figlia femmina può cambiare le cose, ci si può lavorare.

Annunci

La raffigurazione della Sicilia, fin dalle opere neorealiste, è stata sempre abbastanza arretrata, come pure quella di altre regioni del Sud (per esempio la Basilicata di Cristo si è fermato a Eboli). C’è una scena in Sedotta e abbandonata di Pietro Germi, che parla di matrimoni riparatori, verginità e logiche maschiliste, in cui un commissario di polizia guarda una cartina d’Italia coprendo con la mano l’isola di Sicilia, facendo un’espressione che sta a indicare: «Sì, forse sarebbe meglio che questa parte d’Italia non ci fosse».

Questo tipo di narrazione è cambiato in tempi relativamente recenti. Sicuramente Melissa P. con i suoi Cento colpi di spazzola potrebbe aver contribuito. Ma io temo che si sia dato anche un colpo di spugna al ricordo del passato: per esempio nella serie di Pif La mafia uccide solo d’estate, si vede nel 1979 la sorella del protagonista indossare i jeans, mentre appunto il personaggio creato da Lara Cardella non poteva fare nulla del genere dieci anni più tardi. (Diciamo anche che però c’è un po’ uno scarto di ambientazione, perché la serie di Pif è ambientata in città e non in campagna, in una famiglia del ceto medio, quindi i jeans su una ragazza che studia all’università tutto sono tranne che improbabili). La verità è che non c’è più stata un’opera come Volevo i pantaloni, in ogni senso.

E c’è dell’altro. Sicuramente la donna che ha infranto una serie di tabù sul maschilismo in Italia era proprio siciliana: mi riferisco ovviamente a Franca Viola, alla quale dobbiamo l’abolizione della legge sul matrimonio riparatore. Purtroppo però i retaggi maschilisti sono vivi ancora oggi e non solo in Sicilia: per questo leggiamo sui social commenti di utenti che credono che una vittima di femminicidio o una sopravvissuta a uno stupro «se la sia cercata». E mi spiace che un film come Volevo i pantaloni sia caduto nel dimenticatoio proprio per questo. Il libro all’epoca dell’uscita vendette tantissimo in tutto il mondo, ma le statistiche sulla lettura in Italia oggi non sono confortanti, quindi mi sembra più facile che un cambiamento culturale potrebbe ripartire dalla rimessa in onda o su piattaforme streaming di questo film. Crudo, orribile. Ma che ha moltissimi pregi: risveglia nello spettatore un senso di giustizia, sbattendo un’ovvietà sotto il naso di chi guarda. Ossia che i rapporti umani avvengono per reciprocità. E che gli indumenti non significano nulla, a parte quando per qualcuno sono solo un simbolo di emancipazione e libertà.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: