Sono da sempre affascinata alle vicende della Saponificatrice di Correggio: a lei è ispirato (ma anche no) il film Gran Bollito di Mauro Bolognini.
Tre grandi artisti in un doppio ruolo. Un cast internazionale. Mina nella colonna sonora. Una storia senza tempo che è accaduta in Italia, ma si ispira anche a vicende analoghe accadute altrove, come recita il disclaimer all’inizio. Le somiglianze con le vicende della Saponificatrice di Correggio sono tantissime nella trama, anche se Lea del film e Leonarda Cianciulli sono effettivamente due persone differenti. Parlo naturalmente di Gran bollito di Mauro Bolognini.
La storia, analogamente a quella della Saponificatrice, racconta di Lea, che giunge dalla Campania in un paese del Nord, per gestire con il marito un botteghino del lotto e la portineria del palazzo in cui vivono. Il figlio Michele è uno studente universitario: sua madre prova per lui un affetto morboso e una grande gelosia, perché ha paura di perderlo. In effetti Lea è affetta da poliabortività e Michele è un vero e proprio miracolo. Intanto il marito ha un ictus che lo costringe a letto, così che la famiglia assume una badante muta, Tina. Intanto Lea fa amicizia con le vicine: Lisa che è una donna devota e fin troppo morigerata, Stella che è una cantante che si finge tedesca, Berta che è a proprio agio con la propria sessualità dirompente, la coinquilina di Stella Palma, ma anche don Onorio e la sorella Maria. E a casa di Palma e Stella giunge una nuova coinquilina, Sandra, insegnante di danza di cui Michele si invaghisce. E allora Lea decide di offrire alla Madonna tre sacrifici umani affinché Michele non sia portato via né da Sandra né dall’incipiente guerra: uccide Berta, Lisa e Stella e le trasforma in dolcetti e saponette. Almeno finché Maria non la scopre e muore di infarto nell’atto stesso della scoperta. Lea però non risolve nulla: Michele deve partire in guerra, ma prima di andare via porta Sandra a casa della madre, affinché lo aspetti. Lea ora ha Sandra alla sua mercé e medita di ucciderla, ma abbassa l’accetta quando Sandra le rivela di essere incinta. Messa alle strette dal commissario di polizia, viene arrestata tra i vicini che le urlano «mostro» e al quale Lea risponde sarcastica:
Chi, io?
Il cast, dicevo, è incredibile: Shelley Winters nel ruolo di Lea, Max von Sydow, Renato Pozzetto e Alberto Lionello tutti e tre in un doppio ruolo (uno, minuscolo, maschile e l’altro, più centrale e importante, en travesti), Milena Vukotic, Liù Bosisio (sì, ci sono entrambe le Pina Fantozzi in questo film) e naturalmente Laura Antonelli nel ruolo di Sandra. Anche la colonna sonora è spettacolare: all’inizio, sui titoli di testa, si ascolta Vita vita di Mina, mentre ci sono vari brani scritti da Enzo Jannacci, tra cui Libe-libe-là (qui in una versione successiva di Cochi e Renato).
Sono diverse le cose che mi affascinano di questo film, non solo per la somiglianza con una vicenda di cronaca nera che mi ha sempre interessato (e per la quale ho scritto Saponette, il primo racconto che trovate nella raccolta Nera). Da un lato c’è il gusto amarcord di raccontare una storia senza nessun tipo di autocensura: le descrizioni macabre di Lea sono un vero e proprio repertorio di orrori che oggi troverebbe spazio solo in una pellicola horror. Dall’altro c’è una particolare bravura recitativa nel rendere i differenti personaggi: i tre attori en travesti riescono a essere grandi perché non incarnano macchiette, anche quando, come nel caso di Pozzetto che si scopre essere lumbàrd, si prestano a un sorriso. Gran bollito non è un horror, non è un biopic e non è ovviamente una commedia, ma un’invenzione grottesca.
Gran Bollito – raccontò Vukotic nel 2015, quando fu ospite al Festival del Cinema Europeo – è stato per me un nuovo incontro con Mauro Bolognini, a dieci anni dalla mia interpretazione con lui per il film Arabella nel 1967. Era una pellicola particolare, raccontava della Cianciulli, la Saponificatrice di Correggio, e io interpretavo un personaggio bellissimo, quest’essere strano che vedeva tutto, vedeva i delitti e il sangue, ma era muto e alla fine non poteva che esprimersi se non in un grande urlo. Come per tutti i personaggi che ho interpretato, mi ha fatto sentire felice e appagata, tra l’altro il rapporto con il regista Bolognini era affettuoso e sul set ero circondata da grandi attori come Shelley Winters.