Mine vaganti è probabilmente il capolavoro di Ferzan Ozpetek: completamente girato in Puglia, ci racconta una storia senza tempo. (L’articolo contiene spoiler, non leggete se non avete visto il film).

Mine vaganti parla di un ragazzo che anela a inseguire i propri sogni, lavorativi e d’amore. No, aspetta. Mine vaganti parla di un ragazzo che non riesce a fare coming out e che per tutta la vita cerca di fare quello che gli altri si aspettano da lui. No, neppure questo è completamente vero. Mine vaganti parla di una donna che non si conforma alle regole. Anche questo non è esatto, non del tutto. Mine vaganti parla di questo e molto di più: è una storia famigliare sui segreti che possono maturare nell’arco di una vita, le insoddisfazioni, i non detti, che franano come un castello di carte in un’inevitabile climax.

Da un lato c’è Tommaso (Riccardo Scamarcio), laureato in Lettere, che vuole fare lo scrittore. Il padre (Ennio Fantastichini) lo vorrebbe invece accanto al fratello Antonio (Alessandro Preziosi), alla guida del loro pastificio. Tommaso decide di fare coming out pubblicamente durante una cena di lavoro, conoscendo l’omofobia del padre, in modo che questi lo cacci di casa. Ma Antonio lo precede: anche lui è omosessuale e ha rinunciato per la famiglia all’amore della sua vita. Così Antonio viene cacciato da casa e tutti cercano un nuovo equilibrio: il padre e la madre (Lunetta Savino), la zia che da giovane ha vissuto esperienze scandalose (Elena Sofia Ricci), la nonna “mina vagante” (Ilaria Occhini da anziana e Carolina Crescentini da giovane), la sorella senza voce (Bianca Nappi), e Tommaso, che finisce suo malgrado a diventare dirigente del pastificio accanto alla sua nuova socia (Nicole Grimaudo). Intanto però arrivano delle persone a sparigliare le carte: Marco, il compagno di Tommaso, e i loro amici, tutti omosessuali, da Roma.

Annunci

Mine vaganti è stato girato interamente a Lecce e provincia e rispetto a molti altri film girato in loco ha il merito di una particolare cura linguistica: language coach di quest’esperienza cinematografica è stata infatti Carla Guido, attrice teatrale che appare in un piccolo cameo (è la proprietaria della valigeria durante la scena di «spiaggia libera»). In pratica, il linguaggio dei dialoghi è stato adattato in modo che fosse aderente al parlato locale, creando così un’identità tra logos e topos. Non è fondamentale, ma la riuscita è fantastica e aggiunge un incredibile realismo alla narrazione: giusto per non farci dimenticare che anche la sospensione dell’incredulità in questi casi è davvero importante.

L’estetica di Mine vaganti è un’estetica di luce e di profumi, anche se al cinema non si sentono. È nell’odore dell’aria frizzante che soffia dal mare, facendo svolazzare un velo da sposa, è nel profumo dei vino e dei dolci tipici, è nel profumo di una vecchia casa gentilizia nel centro di Lecce, nei coni d’ombra dell’esterno del teatro Apollo deserto, di una partita a pallone nel cortile del pastificio.

Non vado pazza per il cinema di Ferzan Ospetek, anche se mi ritrovo a guardarlo spesso con spirito di collezionismo. Ma tra tutte le sue pellicole che ho visto, questa è la migliore, la più sincera, la più divertente e la più drammatica allo stesso tempo: la bilancia non ha un braccio che pende più dell’altro e anche questa è una grande qualità. Perché è la vita stessa che ammette delle sfumature, degli equilibri. Sta alle mine vaganti far pendere i bracci della bilancia, ma solo per un attimo, perché gli esseri umani sono sempre bravissimi a ritrovare la loro strada, i propri affetti più veri.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: