Con la regia di Oliver Stone e la firma anche del protagonista, Eric Bogosian, nasce un progetto più interessante di quel che sembra, grazie alle forze scese in campo.
di Paolo Merenda
Talk Radio del 1988 è un prodotto molto originale, sia per l’epoca (insomma, eh, ridendo e scherzando parliamo di 33 anni fa) che per le pellicole di oggi. È a tutti gli effetti un thriller, con Barry Champlain che fa lo speaker radiofonico dopo un inizio dovuto più al caso che ad altro, e che con la sua trasmissione Voci nella notte si attira una lunga schiera di ammiratori ma altrettanto lunga di nemici, tra cui un gruppo di neonazisti per il suo essere ebreo, di cui va fiero. Il suo carattere non aiuta: «Barry, ma sei davvero così antipatico come appari in radio?» gli chiede un’ascoltatrice nel corso di una delle chiamate che prende per lo show. «Anche di più» è la risposta.
I nemici gli mandano un topo morto, minacciando di fargli fare la stessa fine, e varie altre lettere minatorie, tanto che il programma va meglio quanto più sta peggio lui. L’instabilità nelle risposte, davvero troppo taglienti che lo pongono su una sottile linea tra essere un eroe e un antieroe, non fanno bene alla sua psiche, ma aiutano a far notare il programma e il suo capo, Dan (interpretato da un giovane Alec Baldwin) cerca di chiudere un accordo con la radio nazionale. Il carattere spigoloso di Barry sembra far franare l’accordo, anzi no, anzi sì e così via.
Il lavoro del regista Oliver Stone (dal palmares sconfinato, tra 2 premi Oscar, 4 Golden Globe, oltre al Bafta, l’Orso d’argento, il Leone d’argento e il Directors Guild of America Award) si è sposato a un progetto ambizioso: la sceneggiatura di Talk Radio proviene da un romanzo di Stephen Singular, ma è Eric Bogosian (che dà il volto a Barry, il protagonista) ad averlo fatto suo per uno spettacolo teatrale. Bogosian è, difatti, un attore teatrale e monologhista prima che attore nel mondo del cinema. Meritato vincitore dell’Orso d’argento per la sua personale interpretazione, diventa uno speaker che va a fondo, che “cola a picco” come dice la ex moglie, ma con gli ascolti che vanno su quanto più lui va giù.
Da qui seguono spoiler. Se non lo avete visto salvate il link e ci leggiamo a fine visione, un’ora e quaranta circa.
Credo che sia un lavoro da vedere più volte. Ho notato subito qualcosa che non quadrava nei due fan che gli chiedevano un autografo durante un’apparizione pubblica, e infatti uno dei due (non quello che pensavo io, ma l’altro) è anche l’omicida di Barry a fine pellicola. Resta senza nome e, a giudicare dai minuti finali in cui tutti quelli che non lo sopportavano chiamano durante lo show di tributo dicendo invece quanto fosse un modello da seguire, non viene neanche arrestato, riuscendo a far perdere le tracce.
Non credo che Barry sia un buono, ma neanche un cattivo. È un uomo fragile che viene seguito per la sua fragilità, la cui patina visibile al mondo è un carattere che possiamo benissimo definire di melma, ma che soffre come tutti, anzi di più, e viene sfruttato fino all’osso. Non dal suo capo, ma dalle persone senza volto che chiamano e lo insultano (o lo acclamano) e dai responsabili della radio nazionale che restano non a caso anch’essi senza volto (i collegamenti sono telefonici con un loro emissario che a sua volta dice poche battute per evitare di essere definito nei particolari come personaggio). Peccato per il finale, perché è telefonato. Mi spiego.
È originale, vero e bello (triste, ma poetico a suo modo). Ma purtroppo ho visto Talk Radio (1988) solo dopo aver visto Il cattivo tenente (successivo, 1992). Il finale del film con Harvey Keitel, nell’indimenticabile ruolo di un rappresentante delle forze dell’ordine corrotto, mi ha colpito. Ok, era assodato che morisse male, ma non così di punto in bianco, agli ultimi secondi, come se il regista si fosse accorto troppo tardi che il film stava per finire e Keitel era ancora vivo.
Così, a Talk Radio ho subito pensato che per Barry sarebbe arrivata una morte altrettanto improvvisa e non costruita (che so, con una fuga, il tentativo di salvare la fidanzata, un rapimento o qualcosa del genere), un po’ alla cattivo tenente. Però ho apprezzato che sia avvenuta nel parcheggio della stazione radio: come tutta la parte thriller si sviluppa nel corso della trasmissione, così viene ucciso non lontano dalla postazione con il microfono che per anni ha raccolto i suoi pensieri, fino agli ultimi.