Bangla è un film delizioso e delicato che ci racconta l’integrazione pratica degli italiani di prima generazione.

L’integrazione è qualcosa della quale ci riempiamo troppo spesso la bocca a sproposito. Cosa significa realmente? Per noi italiani, con genitori italiani e nonni italiani forse solo una lunga sequela di luoghi comuni. E quindi cosa accade quando l’integrazione viene raccontata da qualcuno che ne vive le istanze ogni giorno? Il risultato è in Bangla, opera prima di Phaim Bhuiyan, vincitrice di numerosi premi tra cui, ultimo in ordine di tempo, il premio “Mario Verdone”. Tra l’altro è la prima volta che riesco a indovinare chi sarebbe stato il vincitore di questo premio mentre assistevo al Festival del Cinema Europeo: ho pensato che sarebbe stato impossibile se i tre fratelli Verdone non avessero colto il sentimento e l’autoironia profondissimi di questa storia.

Bangla racconta infatti la storia di Phaim, interpretato dallo stesso regista. È un giovane italiano di 22 anni, nato e vissuto a Tor Pignattara (insomma, è un «torpigna» come Claudio Amendola e Mario Brega in Vacanze di Natale) da genitori bengalesi. È custode diurno in un museo e ha una band che fa world music, ma lui e il suo gruppo vengono ingaggiati solo per feste bengalesi, almeno finché non si iscrive a un concorso underground, dove Phaim conosce Asia, interpretata da Carlotta Antonelli che personalmente adoro. Per Phaim la situazione non è affatto facile: lui è musulmano praticante, questo significa, tra le altre cose, che non può fare sesso prima del matrimonio.

Frequentare Asia diventa difficilissimo per lui ed è qui che entra in gioco il vero valore dell’integrazione. Da un lato c’è lui che lotta dentro di sé per la sua identità e per i propri desideri, dall’altro c’è la cultura dei suoi genitori che vogliono partire a Londra e della sua comunità di riferimento per cui esiste un fragilissimo castello di carte di aspettative, e poi ancora ci sono gli italiani con i loro stereotipi, che in parte trovano corrispondenza nei migranti “bangla” (cioè non come chi, similmente a Phaim, è in effetti italiano), ma anche con il loro paternalismo. Phaim vive in pratica in un mondo di incomprensione, in cui l’integrazione resta una parola irrealizzabile, ma solo perché ognuno di noi è diverso dall’altro ed è questo che tutti dovremmo rispettare.

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Bangla è infatti un film sulle differenze e su come queste devono cercare di convivere, di trovare un equilibrio sopra parole e gesti che non servono a nulla. E tutto alla fine si risolve in ciò che per noi è importante e non necessariamente è carnale, ma forse non lo sappiamo fino in fondo. Perché Phaim Bhuiyan non dà risposte nel finale del film, ma lascia la scena aperta alle possibilità, in modo che lo spettatore scriva il proprio finale come lo preferisce.

Detto così però Bangla ci sembra un film drammatico, e invece è una commedia deliziosa in cui sicuramente c’è qualche piccola tensione drammatica, ma fondamentalmente prevale la narrazione di una generazione di romani multietnici ma ancora non completamente consapevoli. A parte i “vecchi” di Tor Pignattara, anche i giovani italiani da sette generazioni si nutrono di stereotipi, tranne uno spacciatore dei giardinetti, il migliore amico del protagonista, che in realtà è il più saggio di tutta questa galleria di punti interrogativi. Nel cast c’è anche, in un piccolo ruolo, Pietro Sermonti, che in quanto ad autoironia sa più di qualcosa.

A mio avviso, Bangla è davvero un film necessario. Allo spettatore che vuole iniziare a confrontarsi con il concetto di integrazione ma anche a coloro che, oltre agli stereotipi etnici, non sanno rinunciare agli stereotipi generazionali. Bangla è infatti uscito nel 2019, e in quell’anno Phaim Bhuiyan aveva 24 anni. È riuscito quindi a raccontare la sua generazione in maniera efficace e al tempo stesso enormemente poetica. Il che nel cinema italiano è davvero una merce rara se confrontata al grande periodo della commedia all’italiana. E Bhuiyan ci ha anche dimostrato una cosa in cui io credo da sempre: le future generazioni saranno sempre migliori di noi ed è fondamentale restare in loro ascolto.

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