Nel 1991 uscì un documentario dal titolo Il fico del Regime, a firma Mai e Minerba: era la storia dell’interessante vita di Giò Stajano.

Chi era Giò Stajano? Era una nobildonna, discendente di un gerarca fascista (anzi, “del” gerarca fascista Achille Starace), e di lei qualcuno ha detto che è stata «il primo omosessuale in Italia» o «la prima trans in Italia». Ora, la seconda dicitura potrebbe essere in parte vera, benché sia completamente errata dal punto di vista logico e reale: Stajano negli anni ’80 si sottopose a un’intervento per la riassegnazione del genere assegnato alla nascita, “divenendo” quello che era sempre stata. Di mestiere ha fatto cinema e si è occupata di cultura a 360 gradi, ma anche moltissime altre cose.

Quello che ci interessa di più però di Giò Stajano è che lei ha cambiato l’Italia in più ambiti. Con le sue inchieste giornalistiche ha raccontato la polvere sotto i tappeti dei salotti romani, con la sua prosa ricca e ironica ci ha interessanti arricchendoci linguisticamente se suoi lettori. E sicuramente l’aver parlato di argomenti come genere assegnato alla nascita e riassegnazione del genere ha contribuito a diffondere una sensibilità che però purtroppo ancora oggi non è totale, non tanto su questi temi, ma sulle persone che non vengono rispettate per e nella propria identità.

Stajano è stata al centro di un documentario nel 1991, il titolo completo è Il fico del Regime (da prendere come esempio in mancanza di esempi peggiori), con la regia di Ottavio Mario Mai e Giovanni Minerba, i due fondatori del festival del cinema di Torino a tematica Lgbtqai* Da Sodoma a Hollywood.

Annunci

Il fico del Regime non è solo una lunga e interessante intervista, in cui Stajano parte dalla sua infanzia in una famiglia fascista (è lei stessa a raccontare di aver fatto pipì addosso a Benito Mussolini), per poi arrivare al centro della borghesia romana, scoperchiando vizi segreti ammantati di pubbliche virtù. E non manca il ritorno al suo Salento, dove si ritrova a fare il bagno in una fontana che fu eretta proprio in onore del nonno Achille Starace. La storia della fontana fa parte di quella che parrebbe mitologia su Stajano, ma non lo è (nel senso: è tutto vero). Durante i primi anni ’60, si tuffò nella fontana della Barcaccia, e questo pare sia stato di ispirazione per Federico Fellini per la celeberrima scena de La dolce vita (ma voi non fatelo mai, non siete né Giò Stajano né Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, oggi questo è reato).

Mai e Minerba ci mostrano una Stajano non solo diva consumata nella sua casa elegante, ma soprattutto persona, essere umano che ha deciso di rovesciare il mondo con la sua provocazione. E, badate bene, la sua provocazione non ha a che fare strettamente con la sua biografia, ma è tutta nella sua scrittura invece, nel contenuto e nella forma. E dico «non strettamente» perché è difficile se non impossibile scindere Stajano da ciò che era e dal suo mestiere di scrittrice e giornalista.

Se vi dovesse capitare una proiezione de Il fico del Regime, non mancatela, perché è un’occasione unica per imparare di più da una figura che è stata autenticamente unica, affascinante e nobile nell’animo oltre che sul suo stemma gentilizio, ma quello, lo sappiamo, nel mondo di oggi è solo un retaggio del passato.

%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: