Steven Bradbury è stato reso immortale, oltre che dalle sue stesse gesta, da un filmato della Gialappa’s che ne sottolinea l’immensa fortuna, diciamo così. Ma dietro c’è una storia più complessa.

di Paolo Merenda

Come voi rido un sacco quando vedo il filmato della Gialappa’s Band, perché è qualcosa che a Steven Bradbury non riuscirebbe di nuovo nemmeno se tentasse altre 100 volte. Quarti di finale, passa solo se primo o secondo, ed è terzo dopo i due favoriti Apolo Ohno e Marc Gagnon. Gagnon viene però squalificato e Bradbury si qualifica per il rotto della cuffia alle semifinali. Qui, grazie a diverse cadute, diventa secondo e accede alla finalissima, dove parte malissimo, continua peggio ed è ultimo. Ma alla curva prima del traguardo cadono tutti dopo un contatto fortuito tra Ohno (il favorito che fino a quel momento era primo) e Li Jiajun, un altro finalista che era tra quelli caduti in semifinale. Bradbury quindi vince l’oro.

Ma chi è Steven Bradbury? Dietro la risata, come direbbero I Simpson, c’è tanta roba nascosta. Innanzitutto, vi siete mai chiesti come mai uno così scarso (nel 2002 alle Olimpiadi invernali di Salt Lake City non era un fulmine di guerra, diciamolo pure senza timor di smentita) era comunque qualificato?

Perché Bradbury era stato un signor pattinatore di short track: nato nel 1973, entro il 1994, a soli 21 anni, aveva già nel palmares una medaglia d’oro, una d’argento e due di bronzo tra campionati mondiali e Olimpiadi. Ma poco dopo questi successi, all’australiano capitò un infortunio che ricorda quello di Alex Zanardi a Lausitzring in Germania, in cui il pilota italiano perse entrambe le gambe rischiando la vita.

Il motivo per cui Zanardi rischiò di morire fu la copiosa fuoriuscita di sangue: un essere umano adulto ha tra i 5 e i 6 litri di sangue in circolo, e lo sfortunato italiano rimase con un solo litro in corpo. Fu questo il motivo dei 7 arresti cardiaci che Zanardi ebbe nei primi giorni di ricovero a Berlino, prima di riprendersi.

Ebbene, a Montréal, in Canada, Steven Bradbury cadde su un avversario durante una prova di short track e l’avversario, Blackburn, ovviamente senza volerlo gli causò un profondo taglio con le lame di un pattino all’arteria femorale. Bradbury perse circa quattro litri di sangue, si salvò per miracolo e, dopo un anno e mezzo di riabilitazione e 111 punti di sutura tornò in pista. Ormai il momentum era andato, ma nel 2000, solo due anni prima dell’impresa di Salt Lake City, “riuscì” anche a fratturarsi il collo durante un’altra gara.

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Alla luce di questi eventi, lo Steven Bradbury che scese in pista a Salt Lake City era doppiamente un miracolato, tanto che, sul suo successo, disse che non era frutto degli eventi di quel giorno, ma di quasi dieci anni di calvario e tenacia. Resilienza, se vogliamo usare un termine ormai abusato, ma che fotografa la situazione.

Da lì, in Australia e in tutto il mondo arrivarono grandi onori. Aveva già affermato di volersi ritirare dopo Salt Lake City del 2002, e lo fece da campione mondiale. Venne coniato un francobollo in suo onore e un modo di dire, “to do a Bradbury”, che si può tradurre come “fare una bradburata”, ottenere un successo in modo insperato. Inoltre, nel 2007 venne insignito della medaglia dell’Ordine dell’Australia. L’Ordine d’Australia è un ordine di cavalleria creato dalla regina Elisabetta II d’Inghilterra nel 1975, ed è il più alto titolo australiano.

Insomma, una montagna russa, che nel punto più alto gli ha dato la giusta ricompensa dopo anni difficili. Ma la ricompensa, è bene non dimenticarlo, è arrivata anche perché l’uomo non si è arreso mai.

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