La leggenda di Roy Orbison è giunta fino a noi, e continua a essere alimentata, dai suoi pezzi che compaiono in film e serie tv di grande levatura.

di Paolo Merenda

L’importanza della giusta canzone per esaltare, attraverso la colonna sonora, una pellicola ben curata, è da decenni una prerogativa dell’industria cinematografica. Ne sanno qualcosa artisti come Elton John o lo scomparso Johnny Cash, le cui creazioni arricchiscono le scene salienti dei film fin quasi dall’alba dei tempi.

Roy Orbison è un altro artista che deve molto a questo mondo, e nonostante sia venuto a mancare, a soli 52 anni, per un arresto cardiaco, grandi registi e produttori non hanno smesso di ricorrere ai suoi pezzi. Ad esempio, una delle canzoni più famose, se non la più famosa, Oh, Pretty Woman, ha una storia particolare.

Lanciata nel 1964, è stata usata nell’iconica pellicola Pretty Woman del 1990 (che ha chiaramente preso spunto anche per il titolo) di Garry Marshall, con Richard Gere e Julia Roberts. È inoltre comparsa in Scemo & più scemo e La donna esplosiva, e infine una sua parodia dei 2 Live Crew ha dato vita a un momento che ha cambiato l’industria musicale. Nel 1989 il gruppo hip hop, utilizzando lo stesso ritmo ma cambiando gran parte delle parole, scrisse un pezzo ironico su una donna non bella, ma caratterizzata da altre particolarità pilifere, diciamo così. Ebbene, vennero citati in giudizio ma, per la prima volta, la Corte suprema degli Stati Uniti decise che non si trattava di plagio se l’intento era creare una parodia, un prodotto totalmente nuovo rispetto all’originale di partenza. Inutile dire che la decisione legale aprì un filone che non si è più estinto.

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Tornando al suo contributo nel mondo cinematografico, come non citare Velluto Blu del 1986, per la regia di David Lynch? Qui, il pezzo di Roy Orbison fu In Dreams, molto gettonato per i film dell’epoca e non solo.

Infatti, anche nelle serie tv il cantante e chitarrista statunitense ha avuto molto spazio: giusto per citare un paio di titoli, The Man in the High Castle, lavoro distopico sul nazismo che avrebbe vinto la Seconda Guerra Mondiale grazie all’alleanza con il Giappone, Hazzard (anche qui, Oh, Pretty Woman), I Soprano e The Walking Dead.

E parlando di morti viventi, lungo e proficuo l’idillio tra Orbison e il terrificante mondo di Stephen King. Giusto per citarne un paio, il film L’acchiappasogni e la serie tv Incubi e deliri. Il ritmo lento e profondo di alcuni pezzi, infatti, ben si sposa con scene significative e su cui lo spettatore deve soffermarsi per cogliere la chiave di volta del prodotto televisivo.

Infine, forse il contributo che si coglie con maggiore immediatezza (dopo Pretty Woman, di nuovo): There Won’t Be Many Coming Home, canzone che chiude l’epopea alla base di The Hateful Eight (2015) di Quentin Tarantino. Il regista, dopo Django Unchained e prima di C’era una volta a… Hollywood, ha firmato l’ennesimo capolavoro, forse reso tale anche grazie a Roy Orbison e a un pezzo che buca lo schermo.

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