La notte tra l’8 e il 9 agosto 1969 ci fu il Massacro di Cielo Drive. Se ne parla in maniera fantasiosa in C’era una volta a Hollywood.

Quentin Tarantino è un maestro nel riscrivere la storia. Lo ha fatto più volte nella sua carriera. Lo ha fatto quando il volto della vendetta ebrea ha terminato molti nazisti in un cinema francese. Lo ha fatto quando ha portato sullo schermo un regista horror e gli ha fatto crivellare di colpi Hitler e Goebbels. Lo ha fatto quando ha anticipato la Guerra Civile americana, mettendo al centro di una storia un africano che sarebbe diventato la pistola più veloce del Sud. Lo ha fatto quando ha raccontato di un cacciatore di taglie africano che aveva una corrispondenza con il presidente Lincoln. Ma c’è una grande poesia nel modo in cui Tarantino ha rivisitato la storia in C’era una volta a Hollywood.

Il film è ambientato durante tre giornate ben precise nella vita di un attore al declino, Rick Dalton, e del suo stuntman, Cliff Booth: l’8 febbraio 1969, il successivo 9 febbraio e l’8 agosto ’69. Non è un caso che Tarantino abbia voluto far uscire questo film nel 2019: l’anno scorso ricorrevano infatti i 50 anni dal massacro di Cielo Drive. Uno dei due protagonisti, Cliff (interpretato da Brad Pitt, che ha vinto numerosi premi per questo ruolo, ma probabilmente a torto da attore non protagonista) incappa in vari modi nella Family di Charles Manson. Vede lo stesso Manson entrare nella proprietà dei Polanski, incontra per tre volte una ragazzina della setta e la terza volta le dà un passaggio. Accompagnandola, Cliff torna allo Spahn Ranch, dove ha girato molti film anni prima, trovandoci tutta la Family, più George Spahn, il proprietario, che vive da recluso sotto la custodia di Squeaky Fromme. E infine Cliff incontra, o meglio re-incontra, Tex Watson, Sadie Atkins e Katie Kranwinkel in quella tragica notte che, nella realtà costò la vita all’attrice Sharon Tate, a Patrick, il figlio di Roman Polanski che l’attrice portava in grembo, al parrucchiere delle star Jay Sebring, all’ereditiera Abigail Folger e al suo compagno Wojciech Frykowski.

Nel film però non accade nulla di tutto questo. In un certo senso, la pellicola parla della teoria del caos. Ovvero, in C’era una volta a Hollywood, si mostra come le vite di Cliff e Rick, molto diverse ma parallele a quelle dei Polanski, cambiano la storia. Se Cliff e Rick fossero dei personaggi realmente esistiti, il massacro di Cielo Drive non ci sarebbe mai stato, così come l’omicidio LaBianca, esattamente il giorno dopo. Per questo il film si chiama così, per questo il titolo inizia con «c’era una volta»: è una bella fiaba, una di quelle che ci piacerebbe raccontarci per essere sicuri che gli eroi esistono e che il male viene sempre sconfitto.

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Nella realtà, ci ha pensato la Storia, oltre il sistema penale degli Stati Uniti, a condannare la Manson Family. Ma questo non significa che in C’era una volta a Hollywood nulla sia reale. Una cosa che è certamente reale c’è: la bellezza e la leggerezza di Sharon Tate. Prendete questi concetti in senso lato, non parlo di bellezza e leggerezza solo esteriori: Tate è stata una grande attrice, una donna giovane che si godeva la musica di quegli anni, che si godeva la compagnia dei propri amici. E che voleva essere una mamma. Lo voleva a tal punto da pensare di abbandonare la carriera, cosa che non incontrava l’opinione di Roman Polanski: il regista aveva sposato una brava attrice, voleva che lei esprimesse tutto il suo potenziale artistico. Tate lo comprende da sola quanto vale: Tarantino ce la mostra a passeggio per Los Angeles, finché non entra in un cinema, si toglie gli stivali svelando dei piedi sporchi d’asfalto, e si gode il suo stesso film, Missione compiuta stop – Bacioni Matt Helm. Tate ascolta le risate di cuore del pubblico e capisce che sono per lei, che lei piace davvero al pubblico. E Tarantino ci lascia con il più odioso degli interrogativi: quanto sarebbe stata felice la vita di Tate, dal punto di vista affettivo e professionale, se nel suo destino non fosse arrivata la Manson Family come una perversa Atropo a tagliarle i fili della vita?

Ps: Tarantino, da buon genio qual è, ha inserito numerosi ganci con altri suoi film nella storia. Ma c’è qualcosa di interessante nel cast che forse riguarda Beverly Hills 90210. Sappiamo tutti che in una scena sul set di Lancers c’è Luke Perry. Che in Beverly Hills era Dylan e aveva una moglie, Antonia Marchette, interpretata da Rebecca Gayheart, anche lei in C’era una volta a Hollywood. Antonia veniva uccisa per sbaglio da suo padre (che voleva far assassinare Dylan), ma Gayheart muore probabilmente per sbaglio (Tarantino non lo mostra ma lo lascia intendere) nel suo film, in cui è la moglie che Cliff Booth uccide da ubriaco su una barca e viene assolto. Un inside joke da manuale del cinema.