Nel 1990 usciva nelle sale un film che avrebbe consegnato alla storia la splendida performance di Kathy Bates: parlo di Misery non deve morire, tratto da un romanzo di Stephen King.

di Paolo Merenda

A 31 anni di distanza, ormai tutti sapranno o avranno visto Misery non deve morire di Rob Reiner, oltre magari ad aver letto l’ottimo libro da cui la storia è tratta, Misery di Stephen King. Si tratta del secondo atto del connubio artistico tra King e Reiner, dopo Stand by me – Ricordo di un’estate del 1986, ed è davvero difficile stilare una classifica lasciando uno dei due fuori dal gradino più alto del podio.

Per fortuna il difficile compito non tocca a me oggi, quanto piuttosto quello di addentrarmi nelle pieghe di un lavoro cinematografico che, con Kathy Bates e James Caan, ha formato un rapporto ricordato da moltissimi cinefili. James Cann è Paul Sheldon, uno scrittore che subisce un brutto incidente, riportando traumi a gambe e bacino, e viene salvato dalla sua “fan numero 1”, Annie Wilkes, appunto Kathy Bates. Salvato è un parolone, perché lei lo tiene come una farfalla infilzata da uno spillo, aiutata dal fatto che lui è bloccato a letto.

Il problema si acuisce, per Paul, quando Annie legge l’ultimo libro della serie legata al personaggio di Misery, che ha reso famoso Paul Sheldon. Misery muore, la donna rivela un lato di sé molto instabile e gli impone di scrivere un altro romanzo, ma stavolta Misery non deve morire (da qui il titolo), anzi deve risorgere mantenendosi nei limiti della scienza e del possibile. Paul acconsente, ma mette in atto pian piano un tentativo di fuga.

Come ha detto Stephen King in qualche intervista, è l’inferno di ogni scrittore, pensare di essere segregato da qualche fan troppo pressante. Parliamo di un libro del 1987 e di un film del 1990, quindi con alcune trovate che all’epoca funzionavano (Annie gli fa bruciare il nuovissimo libro, ancora inedito, perché l’unica copia era stata scritta su carta con una macchina da scrivere) ma ciononostante non sente molto il passare del tempo, perché l’essenza della storia colpisce il lettore (o lo spettatore) nel profondo.

E se nel ruolo di villain c’è Kathy Bates, che riesce a trasformarsi in Annie Wilkes, il gioco è fatto. Le espressioni facciali difatti rendono credibile ogni gesto che lei compie, tanto da mettere in ombra l’altrettanto bravo James Caan.

Il conto dei premi per la donna indica un Oscar, un Golden Globe e il titolo di 17esima migliore cattiva di sempre del cinema americano. A proposito di premi Oscar (o almeno di nomination), anche gli altri attori di Misery non deve morire possono vantarli. Ma urge fare un passo indietro.

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La pellicola ha 31 anni, quindi mettere in conto qualcuno che nel frattempo è passato a miglior vita ci sta. Ma la trama affronta sì un sequestro di persona, però in una Colorado innevata e in un villaggio di poche anime, con un’alta età media. Per gli altri ruoli quindi si è optato per volti anziani, come Lauren Bacall e Graham Jarvis, non più tra noi, così come Richard Farnsworth, lo sceriffo Buster McCain. Farnsworth però, morto suicida nel 2000 a 80 anni per non sopportare gli ultimi mesi di un cancro terminale alle ossa, ha lavorato a Hollywood per più di 60 anni. Tra i suoi lavori, un piccolo ruolo a Via col vento, che non ha certo bisogno di presentazioni, nel 1939, e Una storia vera di David Lynch (1999), con cui ha recitato sapendo già di avere poco tempo da vivere. Dal 1937 al 1999 ha raccolto due candidature all’Oscar, la prima nel 1979 e la seconda nel 1999, appunto per Una storia vera.

Misery non deve morire, quindi, vanta solo tre attori ancora in vita: Caan, Bates e Frances Sternhagen (nata comunque nel 1930), con quest’ultima che ha alle spalle una pregevole carriera teatrale e due Tony Award vinti, il corrispettivo teatrale dell’Oscar per il cinema.

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