Squid Game è il prodotto Netflix del momento: molti lo accostano a Battle Royale e Hunger Games, ma quanto c’è di vero?

Sicuramente non posso lanciarmi in una disquisizione di Squid Game, che non ho ancora visto: a giudicare dal trailer però si capiscono molte cose dal concept. Sì, ha sicuramente dei punti in comune con Battle Royale e Hunger Games, ossia giochi istituzionalizzati per la sopravvivenza – presumo però che anche altri come me abbiano trovato parallelismi decisamente più comici e profani con Mai Dire Banzai. C’è anche una filosofia che lega questa serie a Parasite: è l’idea che le fasce di popolazione più umili siano pronte a tutto pur di sopravvivere. Che ci sta anche, ma in realtà il genere umano ha sempre un istinto di sopravvivenza, è nella nostra natura: se in un’arena ci fossero ricchi e poveri a combattere, ognuno di loro difenderebbe la propria vita come può e secondo le proprie inclinazioni.

Detto questo, mi è tornata alla memoria una discussione che ebbi qualche anno fa con un amico. Quest’amico affermava addirittura che Hunger Games fosse un plagio di Battle Royale. Ma le cose non stanno affatto così. Certo, Battle Royale, libro e film, vengono prima di Hunger Games, libri e film, ma basta una cronologia delle uscite per farne un plagio? I due prodotti parlano di due cose completamente diverse.

Ammetto che avendo visto Battle Royale in italiano e conoscendo poco la cultura giapponese, non quanto vorrei almeno, l’ho trovato piuttosto ostico. Si tratta di un’opera che racconta dell’applicazione di una legge: ogni anno una classe terminale delle scuole medie (ma, data l’età dei partecipanti, immagino corrisponda al nostro ginnasio) viene selezionata per la lotta su un’isola deserta all’ultimo sangue. La legge è stata varata per il più classico dei pregiudizi: le nuove generazioni costituiscono una degenerazione dei valori di un Paese. Per cui questi ragazzini combattono per la propria sopravvivenza per essere d’esempio agli altri. Ma c’è qualcosa che non quadra: quando i ragazzini vengono “rapiti” dall’esercito per la Battle Royale, pensano di andare in gita, non conoscono la legge. Come fanno dunque a essere d’esempio per altri? Una possibilità è rappresentata dal fatto che il vincitore viene celebrato dalla stampa. E questo, la presenza di una stampa libera, ci dovrebbe aiutare a comprendere che l’idea di Battle Royale è lontanissima da Hunger Games, ambientato durante una dittatura. Inoltre Battle Royale si basa sull’idea nipponica dell’ambizione legata all’onore, un’idea amplificata da decenni di immigrazione dei giapponesi verso altre nazioni occidentali, quelle che hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale, Stati Uniti in testa, in cui i migranti delle classi più umili erano bistrattati e respinti.

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Hunger Games, dicevamo, parla di una dittatura: i giochi nascono infatti come una sorta di punizione, un memento per evitare nuove ribellioni nei distretti, come era accaduto una settantina di anni prima delle vicende narrate nei libri e nei film. Anche qui però, come in Squid Game, c’è l’idea della lotta di classe: i ragazzini inviati nell’arena digitale a combattere fanno parte dei distretti subalterni alla capitale. Ma per il resto tutto ha a che vedere con la dittatura, con il concetto di proprietà dell’essere umano da parte di un dittatore sanguinario, del governo del terrore, della ribellione che cerca di ritrovare la propria strada.

Quindi, in definitiva, tutti e tre i prodotti sulla carta e nella pratica sono decisamente diversi. E, anche se presentano alcuni elementi in comune, non è detto che possiamo gradirli tutti in blocco oppure possiamo apprezzarli per la propria diversità.

Ma giacché sono nell’argomento, vorrei dire anche qualcos’altro su Squid Game. In questi giorni sto assistendo a una levata di scudi perché molti bambini stanno vedendo la serie e si stanno desensibilizzando, almeno apparentemente, alla violenza. Ci sono diversi errori di fondo se crediamo che la desensibilizzazione alla violenza sia legata a Squid Game. Una è che in qualunque show televisivo, dai telegiornali onnipresenti al wrestling, la violenza è sempre presente. E su, noi bimbi degli anni ’80 siamo cresciuti con l’Uomo Tigre che veniva appeso a testa in giù nella cascata e Mimì Ayuhara che si allenava con le catene ai polsi. Non dimentichiamoci poi di come fu criminalizzato, a torto, Marilyn Manson dopo la strage della Columbine High School. Ma poi, scusate, perché mollare i bambini davanti alla tv? Non per essere moralista, ma a meno che non stiano vedendo Kung-fu Panda non è un atteggiamento giustificabile. Questo non significa che bisogna censurare, ma significa che bisogna tornare a vedere la tv con i figli. Quando ero piccola, vedevo qualunque cosa, da Twin Peaks ai film con Gloria Guida e Lilli Carati. Vidi Shining. Ma lo feci sul divano del salotto, accanto ai miei genitori. È il solo modo che conosco per capire le cose e spiegare le cose.

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