Pensieri sparsi sulla poesia di Salvatore Toma, che seppe raccontare il futuro in versi sul suo presente.

C’era la neve a Maglie City nel marzo 1987. Io la guardavo arrivare in folate di vento freddo, fuori dalla finestra. Nei momenti di tregua, i miei cugini facevano a palle di neve, costruivano pupazzi. Io no. Ero in casa, dietro la finestra, seduta sul serpentone a raccontarmi storie da sola. E li invidiavo (non sapevo ancora quanto fosse importante creare anticorpi contro la socialità a tutti i costi).

Poi arrivò il sole e la neve si sciolse. Era un evento raro, rarissimo. Anche se mia nonna favoleggiava di neve a maggio negli anni ’50 – ma mia nonna viveva in un mondo suo – il Salento e la neve sono stati come l’acqua e l’olio prima che iniziasse il cambiamento climatico globale. Pochi giorni dopo che la neve si sciolse, morì Salvatore Toma.

Maglie è uno di quei luoghi strani. Ha rappresentato a suo modo un epicentro di cultura letteraria. Lì è nato Salvatore Toma, come pure Oreste Macrì, Nicola G. De Donno, Salvatore Stefanoni (autore di un singolo ma significativo romanzo pubblicato, Un refolo di vento). Da lì è passato Gerhard Rohlfs per la compilazione del suo Vocabolario dei dialetti salentini (Terra d’Otranto) – consultandosi la sera con un poeta dialettale e famoso avvocato, Nestore Bandello. Su una panchina di fronte alla posta ha dormito Italo Calvino, rimasto senza una lira mentre con la sua Topolino girava l’Italia alla ricerca delle Fiabe italiane (tra cui tre proprio di Maglie su quattro dell’intera Terra d’Otranto). Parliamo però di un tempo che fu e che rimane solo attraverso le pagine dei libri.

La città di Maglie diede tuttavia la cittadinanza onoraria a Maria Corti, che curò per Einaudi Canzoniere della morte di Toma (da cui è tratta la pagina che vedete poco più in alto, la sua poesia che amo di più).

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La poesia è una cosa seria e indica la strada da percorrere. La poesia di Toma è lungimirante: ci invita a essere rispettosi della natura e degli animali, ci chiede di prendere una posizione netta, di non essere ipocriti, ci chiede di amare i libri perché al loro interno ci sono delle parole che incantano.

Non è un caso che lui si definisse A Great Poet, come recitavano gli adesivi che, come riporta il saggio di Gaetano Chiappini Per Salvatore Toma – Poeta in esilio, Toma appiccicava sulle auto di chi non comprendeva i suoi versi. È un destino ingrato quello dei poeti combattenti: non sempre, in vita, gli viene tributato il giusto. Oggi, a molti anni da quel 17 marzo 1987, quando Toma scomparve da questo mondo, questo poeta viene letto e studiato in tutto il mondo, grazie anche alla silloge curata da Corti.

L’idea che mi sono fatta di Toma, personalmente, è quello di un artista troppo grande per una piccola città di provincia, soprattutto negli anni ’80. Mi sono chiesta spesso cosa sarebbe accaduto, in termini di riscontro in vita, se Toma fosse vissuto in una metropoli.

I suoi disegni mi hanno fatto spesso pensare a John Lennon. Ma i suoi versi sono anche oltre, perché sono di una modernità disarmante. Toma ha portato in Italia un tipo di poesia che ancora era aliena. Ha precorso i tempi, restituendoci dei versi che non ci appaiono invecchiati neppure quando affrontano temi contingenti al loro tempo come il dibattito sulla caccia o la strage di Bologna.

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