Dopo 30 anni, dal 1990 al 2020, la prima versione sul grande schermo di It, di Stephen King, mantiene intatto il suo fascino.

di Paolo Merenda

Nel 1986 è stato pubblicato quello che forse è il capolavoro di Stephen King, It, in cui una creatura mutaforma tiene in scacco l’intera cittadina di Derry, esigendo come tributo la vita di alcuni bambini, ritornando ogni 27 anni fin dall’alba dei tempi. La creatura assume la forma di ciò di cui hanno paura i bambini per cibarsi del loro terrore, prediligendo quella di un clown. Nella miniserie televisiva di due puntate che ne viene tratta nel 1990, il clown diventa così la vera forma, grazie alla bravura di Tim Curry, già molto celebre per aver interpretato il protagonista di The Rocky Horror Picture Show.

Bel cast, quello scelto dal regista Tommy Lee Wallace, che comprende oltre a Tim Curry, attori affermati e giovani promesse dell’epoca come Seth Green (Richie bambino), Richard Thomas (Bill adulto), Annette O’Toole (Beverly adulta), Tim Reid (Mike adulto) e molti altri. Purtroppo, lunga è la schiera anche di quelli che non sono più tra noi, come John Ritter (Ben adulto), Harry Anderson (Richie adulto), Gabe Khouth (Patrick, un ruolo minore diverso dal libro al film), per finire con Jonathan Brandis (Bill bambino, morto suicida a 27 anni).

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Il modo in cui ogni personaggio trova il suo spazio rende la storia fluida nello scorrere verso eventi sempre più gravi, fino ad arrivare allo scontro finale, che, sebbene “telefonato,” mantiene il suo fascino per il modo in cui viene reso in televisione. Ma, a dire il vero, non so se sia questo il motivo per cui è diventato un manifesto degli anni ’90, o nemmeno se per la trama, ripresa da un romanzo di assoluto spessore. È più qualcosa legato alla magia della tv, al trovarsi al punto giusto nel momento giusto, a mio avviso. Il pubblico era pronto a un’opera del genere, a lasciarsi attraversare e condurre, tanto che a detta di molti la coulrofoba, la paura dei clown, sia stata ben alimentata da It a livello globale per tutti gli anni a seguire.

Anche la scelta delle musiche, che ricordo mi colpirono molto già alla prima visione, fa la sua parte. Alcuni motivetti alla «venghino signori venghino» del circo sono appena distorti, per creare un effetto agghiacciante e che ben si presta alle scene più paurose. Una magia che il remake in due parti del 2017 e 2019 non ha del tutto, nonostante sia fatto oggettivamente meglio, dagli effetti speciali in poi.

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