La storia del cinema si fa in maniera originale: e Russ Meyer, regista di Faster, Pussycat! Kill! Kill! l’ha fatta in modo molto molto originale.

Regista di Vixen, Lorna, Mondo Topless e una lunga serie di pellicole dall’apparenza pruriginosa, Russ Meyer – che scompariva in questo giorno 16 anni fa – è celebre soprattutto per la pellicola Faster, Pussycat! Kill! Kill! Che è originale fin dal suo incipit.

Signore e signori, benvenuti alla violenza!

Esclama una voce oltre uno schermo che ne riproduce le lunghezze d’onda, per spiegarci cosa sia, di fatto la violenza, e quindi introdurci Varla, Rosie e Billie, tre ballerine esotiche maggiorate e amanti delle auto veloci.

La storia prende le mosse appunto dalle auto: durante una corsa nel deserto, le tre donne incontrano una coppia composta da un uomo e una donna dall’apparenza benestante, sfidando l’uomo a una gara di velocità. Varla e l’uomo combattono e Varla vince, finendo poi per uccidere l’uomo a mani nude e decidere di rapire la donna per chiederne un cospicuo riscatto. La peregrinazione delle tre donne non si ferma qui, ma giunge a un villaggio in cui incontra una famiglia composta da soli uomini: un padre misogino e invalido, un figlio molto intelligente e un’altro molto stupido ma bello e muscoloso. Ognuno inizia a sospettare dell’altro e anche il terzetto di ballerine si sgretola, perché la bionda Billie non ci sta a farsi mettere i piedi in testa da Varla, fino a un finale decisamente sanguinoso e violento.

La pellicola è tanto celebre da annoverare moltissime citazioni, da I Simpson che fanno riferimento al film di Meyer in un episodio di Grattachecca & Fichetto fino al fumetto Laida Odius, sceneggiato dal grandissimo Andrea G. Pinketts con disegni di Maurizio Rosenweig. Ma perché questo film è molto amato e conosciuto dai cinefili?

Io posso dirvi cosa rappresenta per me. La prima volta che ho visto Faster, Pussycat! Kill! Kill! ero poco più che una bambina e ne colsi solo il primo livello, quello letterale. Il film vuole raccontare in primis come gli stereotipi siano errati: le donne, nel 1965, e ancora oggi in parte erano e sono considerati angeli del focolare senza macchia, ma il film vuole appunto sfatare un falso mito proponendo dei modelli negativi. O meglio, le tre donne protagoniste non sono dei modelli completamente negativi, lo è Varla che uccide, rapisce e minaccia, lo è Rosie in quanto succube di Varla, ma non lo è Billie, che è semplicemente votata all’edonismo.

Nella metafora però gli uomini non è che siano da meno, anche se le azioni di qualcuno sono la conseguenza della violenza di Varla. Il Vegetale, ossia il figlio stupido dell’invalido, per esempio uccide Rosie dopo aver assistito all’assassinio di Billie, di cui ammirava la vitalità e lo spirito allegro più che il corpo mozzafiato.

Anime oltre il corpo: è questa, in ultima analisi l’immagine femminile che Meyer vuole proporre allo  spettatore. Il che, per il regista e per i film decisamente hot che girava, può sembrare un controsenso, ma in realtà non lo è. Le curve possono avvicinarci alle donne anche a tutta velocità, ma decidiamo di restare per l’intero panorama.

Nel cast nessuno di particolarmente famoso, con l’eccezione di Tura Satana, attrice dalle origini cheyenne, scozzesi e giapponesi che deve la sua celebrità proprio a questa pellicola. Vi recita però anche Stuart Gage Lancaster, che ha girato svariati film con Meyer e appare in piccoli ruoli in un paio di film di Tim Burton.

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