Bisogna arrivare alla terza stagione di Baby per apprezzarla davvero: l’emozione più forte nelle ultime due puntate. (Spoiler alert: non leggete se non avete completato la visione).
C’è stato un momento, durante la mia visione della terza stagione di Baby (che trovate su Netflix) in cui mi sono sentita per la prima volta coinvolta in quello che vedevo nello schermo. Sapete, a me la sospensione dell’incredulità prende allo stomaco e i muscoli si tendono. Un po’ come quando, da bambina, guardavo, tutte le vigilie di Natale, Ritorno al Futuro e le unghie penetravano i braccioli della poltrona quando Marty McFly rischia di non beccare il fulmine e tornare nel 1985.
C’è stato un momento, dicevo, durante la terza stagione di Baby, che ho avuto voglia di esultare. È nel momento in cui Ludovica scappa da Fiore dopo aver detto alla polizia, che lo sta cercando, dove si trova. Il momento in cui Ludovica torna a Roma, pronta a credere di nuovo nell’amicizia con Chiara – anche se in realtà non ha mai davvero smesso di credere in lei.
Il personaggio di Ludovica, insieme a quello di Fabio, sono indubbiamente i migliori della serie, non solo perché ben tratteggiati dai relativi interpreti, Alice Pagani e Brando Pacitto. Ludo e Fabio sono personaggi completamente positivi, fratelli d’elezione: certo, commettono degli errori che, però, possono essere ascritti all’ingenuità giovanile. Il riscatto di Ludo, in particolare, che decide di uscire dalla relazione tossica con Fiore rappresenta a livello ideale la rappresentazione delle relazioni abusive in cui le donne come lei sono sopravvissute. Non va sempre a finire così bene: quando un uomo ti aspetta sotto casa con una pistola, la cronaca ci ha insegnato che a volte viene usata, decine di volte all’anno stando alle statistiche in Italia. Ma in tv non si può mostrare un femminicidio, soprattutto per un personaggio tanto popolare.
È una vecchia questione. Ci sono molti negazionisti del femminicidio – cioè l’omicidio di donne per scopi ben precisi, come la volontà di possesso sulla vittima o sulla sopravvissuta – basta leggere i commenti alla cronaca nera sulle fanpage delle principali testate italiane. Ma guai a mostrarlo su uno schermo. Nel 1978 a farne le spese fu la creatività di Fernando Di Leo, costretto a cambiare il finale di Avere vent’anni, in cui venivano brutalmente massacrati i personaggi di Lilli Carati e Gloria Guida (due amiche libere, una bionda e una bruna, proprio come in Baby), solo per aver mostrato il proprio essere libere a un gruppo di uomini.
Particolarmente intensa è in Baby la scena in cui Ludovica si commuove di fronte a delle prostitute di strada. Una di loro, con l’accento dell’Est Europa, le si avvicina e le chiede: «Non andate a casa?». Il sottotesto di quella domanda è: «Siete delle bambine, non dovreste essere qui». Ma Ludovica non è una bambina, non lo è mai stata anche se avrebbe voluto, e nello sguardo vuoto della prostituta oltre il vetro dell’auto vede quale avrebbe potuto essere il suo futuro.
Il finale si sofferma sulla questione della responsabilità. Lo sfruttatore della prostituzione finisce in galera, così come la mamma di Ludo, che ha accettato i soldi della figlia senza farsi troppe domande (ma è, in ultima analisi, anche lei un’ingenua, che si ritrova a perdere quasi tutto, tranne il bene più prezioso, cioè l’amore della figlia), mentre Alice viene messa in casa famiglia, sebbene continui ad avere rapporti con la madre. Su Elsa Altieri della Rocca, interpretata da Galatea Ranzi, ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, dato che è, a sorpresa, un personaggio negativo: tutte le sue azioni sono volte al mantenimento della propria reputazione, finché anche lei non perde quasi tutto e comprende che avrebbe dovuto concentrarsi sulla figlia molto prima. Elsa è interpretata da Ranzi, che già in altri casi aveva interpretato donne antipatiche, ma mai così concentrate su loro stesse, da qui la sorpresa: esempio eclatante è quello de La grande bellezza, in cui Ranzi, come tutti i personaggi che Paolo Sorrentino piazza nelle sue storie collettive, è investita da una sorta di riscatto e ai nostri occhi di spettatori appare più simpatica, come se dentro di lei ci sia stato un rovesciamento, una nuova consapevolezza.
Le responsabilità, dicevo: Baby non ce la fa proprio a non cadere nel tranello della morale finale. Tutti sono responsabili per quello che accade a Ludovica e Alice – le cui vicende sono molto liberamente ispirate a un vero caso di cronaca giudiziaria di alcuni anni fa – l’intera società è responsabile. Che volendo è anche vero. Ma niente cambia, perché attualmente non esistono delle vere misure di contrasto allo sfruttamento della prostituzione, non solo minorile, e non solo in Italia.
Ludovica ne è ancora una volta l’esempio eclatante. Esiste uno stigma sulle donne che vivono delle storie con un risvolto sessuale: Ludo se ne libera solo diventando una persona diversa, lontana, in una scuola d’arte a Parigi, anche se non potrà mai dimenticare ciò che di bello le è accaduto, e cioè la sua amicizia con Chiara. Ma se, fuori da un telefilm e nel mondo reale, una come Ludovica fosse rimasta a Roma, sarebbe bastato il diritto all’oblio a permetterle di riprendere in mano la sua vita, la sua storia?