Un saggio storico di Alessandro Manzoni, inserito inizialmente nel suo capolavoro I promessi sposi, diventa sempre più attuale.
di Paolo Merenda
Alcuni libri risentono pesantemente dei momenti in cui sono stati letti. E se talvolta il condizionamento porta a vedere come buone opere, delle storie in fin dei conti mediocri, altre volte accade il contrario, ovvero ad alcuni ottimi libri non viene riconosciuta la grandezza.
I Promessi Sposi fa parte di quest’ultima categoria, dato che di norma il primo impatto dello scritto di Alessandro Manzoni avviene tra i banchi di scuola, quando c’è l’obbligo di leggerlo e studiarlo, lasciando fuori la volontà degli studenti. I Promessi Sposi parla ovviamente di Renzo e Lucia (Fermo e Lucia nella prima stesura), ma inserite nel testo ci sono molte altre vicende e quindi chiavi di lettura. Quella che trovo sempre più attuale è la parte sulla peste bubbonica, tra monatti, lazzaretto e quant’altro. Il tutto è amplificato dalla Storia della colonna infame, un saggio inizialmente all’interno dell’opera, ma poi aggiunto in appendice al libro stesso.
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I monatti (ma in realtà chiunque, anche a Renzo succede) vengono accusati di essere gli untori, ovvero persone che infettano le superfici di case, chiese, muri, tavoli e quant’altro, del morbo che porterà la peste e la morte. «Turpe» viene definito il monatto che si avvicina a Cecilia per portarla via dalle braccia di sua madre. Non c’è nulla di vero nella faccenda degli untori però, la peste è stata una pandemia che ha causato la morte di circa un quarto di tutti gli abitanti del Nord Italia, e come ogni pandemia ha cause totalmente naturali. Ma se la peste bubbonica fa parte del passato e non si cercano untori, così non è attualmente per un’altra pandemia in atto, il Covid-19.
Ed è in questo che trovo attuale il saggio, magnificamente narrato, Storia della colonna infame. Il processo a due uomini innocenti, ingiustamente accusati di aver diffuso la peste, diventa il pretesto per dire quanto la mente possa obnubilarsi quando è in preda al terrore. Il grido “dagli all’untore”, ripreso e usato come titolo di una canzone di Caparezza (e che parla della vendetta di un untore reale dopo tante vessazioni) potrebbe essere visto come le attuali richieste di conoscere nomi e cognomi di tutti quelli malati di coronavirus, per evitarli in quanto untori.
Il fatto è che a mio avviso non si può sfuggire alla natura umana, agli istinti più bassi, che fanno parte di chiunque, checché se ne dica. Una buona cultura può tenerli a bada tutta la vita, ma sono lì, e talvolta fanno capolino nei momenti più anomali dell’esistenza. È affascinante, a suo modo, ma davvero ciò che ha scritto Alessandro Manzoni nella Storia della colonna infame e ne I Promessi Sposi trova applicazione nel presente col Covid, a circa due secoli di distanza. E se da una parte tutto è ciclico, dall’altra non si deve mai smettere di tentare di uscirne e diventare migliori tracciando una nuova strada. Nel film Looper ci riescono.
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