Miseria e nobiltà è un film emozionante, con Totò e Sophia Loren, che ha un posto ben preciso nella storia del cinema.

di Paolo Merenda

Tra i manifesti del cinema italiano, i volti noti e quanti hanno fatto la storia, non si può escludere Totò e l’opera Miseria e nobiltà, del 1954. Dico opera appunto perché, come molti di voi sapranno, la storia è tratta da un altrettanto celebre lavoro teatrale di Eduardo Scarpetta, considerato il creatore del teatro dialettale moderno. Per dire, Eduardo Scarpetta venne portato in tribunale dal vate Gabriele D’Annunzio e l’unico a difenderlo fu Benedetto Croce. Immaginatevi la scena: tre uomini che hanno davvero fatto la storia, nella stessa aula di tribunale. Tornando a Miseria e nobiltà, c’è una nota curiosa: Scarpetta lo scrisse nel 1887 solo per far comparire sul palco l’allora dodicenne figlio Vincenzo, che sarebbe poi diventato attore teatrale e televisivo. Missione compiuta nel 1888, alla prima assoluta davanti al pubblico quando Vincenzo Scarpetta interpretò Peppiniello, figlio di Felice, ma il pubblico si accorse anche di un’altra cosa: quanto fosse forte e valida la storia in sé.

Il protagonista, Felice Sciosciammocca, era stato pensato come un’alternativa a Pulcinella, da cui prendeva (e prende ancor oggi, al teatro) spunto per le movenze e il modo di recitare. E qui si colloca il film girato da Mario Mattoli, con il principe Antonio De Curtis, in arte Totò, nel ruolo di Felice. Totò, per quanto di superba bravura, era un nome troppo grande per mantenere le caratteristiche uniche del Sciosciammocca di Scarpetta, e quindi alla storia è passato il Felice Sciosciammocca così come lo interpreta Totò.

Il film, dicevamo: una perla, in cui c’è da notare lo scarto tra i ricchi e i poveri, sia fuori che dentro, e il modo in cui vengono rappresentati. Le risate continue che strappa non evitano a mente fredda di pensare a quali possano essere i bisogni primari di una famiglia, e a quanti “invisibili” abbiano una vita da portare avanti, anche adesso, proprio nel momento in cui state leggendo questo articolo.

Prima delle riflessioni, però, arrivano come detto le risate a crepapelle per alcune scene iconiche. Quando Felice (Totò), la compagna Luisella (Dolores Palumbo), l’amico Pasquale (Enzo Turco), sua moglie Concetta (Liana Billi) e sua figlia Pupella (Valeria Moriconi), ricevono la visita dei cuochi che portano loro ogni ben di Dio, e si avventano sul cibo e particolarmente sugli spaghetti, o ancora quando Totò fa da scrivano per un contadino, oppure ancora quando le due famiglie, travestite da nobili, mangiano il gelato a casa di don Gaetano (Gianni Cavalieri).

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Su alcune cose il film è ovviamente invecchiato, ma sulle scelte introspettive e psicologiche sembra attualissimo. Il marchesino Eugenio Favetti (Franco Pastorino) è innamorato della figlia del cuoco, la ballerina Gemma (Sophia Loren) e dato il diniego della sua famiglia di poter convolare a nozze con la giovane, architetta un piano in cui Felice Sciosciammocca e soci fingono di essere la sua famiglia per dare la benedizione riguardo l’unione a un ignaro don Gaetano.

La situazione si fa via via più ingarbugliata e traballante, specialmente quando Totò incontra il piccolo Peppiniello, il figlio che aveva cacciato di casa tempo addietro per non curarsene più (com’era d’uso più di un secolo fa), a casa del cuoco come parte della servitù.

E pensare che questa non è la prima trasposizione cinematografica dell’opera di Eduardo Scarpetta: nel 1914 venne realizzato un film muto, proprio con Scarpetta nel ruolo di Felice, ma di quel lavoro è andato totalmente perduto tranne qualche foto di scena, tanto che anche l’attribuzione di Enrico Guazzoni come regista risulta ormai dubbia. Una vicenda affascinante che da sola meriterebbe un film sul film.

Sulla versione del 1914 purtroppo non si potrà sapere più nulla, anche perché tutte le persone coinvolte sono morte, ma non è lo stesso per la versione più famosa, quella del 1954. Ovviamente, Sophia Loren è viva e fa la sua bella figura ancora oggi, quasi novantenne, ma non è l’unica: della fotografia del film si è occupato Luciano Trasatti, anche lui ancora vivo, così come Peppiniello, ovvero Franco Melidoni. Sì, il figlio di Felice, il motivo per cui esiste l’opera teatrale di partenza, è ancora tra noi, più di 65 anni dopo la pellicola. Purtroppo, invece, ci ha lasciato esattamente un anno fa Carlo Croccolo, nel film Luigino, il fratello di Gemma, uno degli ultimi baluardi ad andarsene.

Volete un’altra vicenda su cui si potrebbe fare un film? Non tutti sanno che Peppiniello, cioè Franco Melidoni, sia vivo. Come mai? Perché nel 1954, alla prima esperienza, venne scelto per interpretare il dodicenne quasi per sbaglio: la madre nella finzione, Giulia Melidoni, era tale anche nella realtà, e c’era semplicemente il ruolo da coprire. Ma fu così bravo che Vittorio De Sica lo voleva con sé nel film Napoli milionaria e L’oro di Napoli. C’erano le carte in tavola perché diventasse un grande attore a sua volta, ma i genitori si rifiutarono di fargli fare altri film finché non avesse terminato gli studi. Da allora, ha lavorato dietro le quinte per altre pellicole, ma è apparso sullo schermo, in un ruolo minuscolo e quasi non accreditato, una sola volta, nel 1967, in Non stuzzicate la zanzara, di Lina Wertmüller. Cosa sarebbe potuto cambiare se avesse continuato a fare l’attore?

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