Forse uno dei capolavori di George Orwell, 1984 è senz’altro una delle pietre miliari del genere distopico e della letteratura di tutti i tempi.
di Paolo Merenda
Alcuni romanzi sono fatti per resistere al tempo, per sconfiggerlo e anzi per diventare delle pietre miliari della letteratura. 1984 è così, forse addirittura è la pietra angolare del genere distopico. Il suo autore, George Orwell (pseudonimo di Eric Arthur Blair), ha creato un’opera così forte per due motivi principali: il primo è la militanza in questo genere letterario, che lo ha portato ad affinare sempre più lo stile dopo un lavoro del calibro de La fattoria degli animali. Il secondo è la militanza nel senso più letterale del termine, di nuovo, cioè Orwell ha sempre tollerato poco e male i totalitarismi, con il regime comunista di Stalin e quello fascista su tutti, e quindi il suo pensiero è confluito naturalmente nelle pagine del romanzo (forse) più rappresentativo.
C’è da dire che anche la trama è perfetta: una parentesi nelle pieghe della dittatura in atto, nulla di più. Infatti il protagonista, Winston Smith (come il primo ministro Winston Churchill ma con il cognome più diffuso nel Regno Unito, come dire l’uomo comune), dopo un malcelato dissapore nei confronti del Grande Fratello, ovvero il volto di un uomo misterioso e baffuto (esattamente come Stalin) che campeggia su numerosi poster e che raffigura la dittatura stessa, cerca di passare alla Resistenza. La molla è l’amore per un’altra attivista, Julia, ma dopo qualche incontro che i due credevano privato vengono arrestati, in quanto la stessa cellula è gestita da spie del regime, e serve a smascherare i traditori.
Da qui comincia la parte più claustrofobica, ovvero il lavaggio del cervello di Winston («he is brainwashed into conformity again» scrivono i libri di letteratura). Il finale, amaro, mostra un cerchio che si chiude, con la sola notizia di un esito in battaglia che serve a dare la possibilità, per gli ottimisti, di pensare a un punto di svolta che avrà ripercussioni in futuro. Ma che futuro ci può essere in una società in cui perfino l’amore è proibito, osteggiato dal Bispensiero e perseguito dalla Psicopolizia?
Il Grande Fratello non è solo un volto della propaganda, così come il nemico Goldstein avversato nei periodici “2 Minuti d’Odio”: sono dei simboli. Il Grande Fratello è un occhio che guarda continuamente i cittadini di Oceania, che li spia dai teleschermi, il delatore di ogni loro emozione.
Il peso di questo romanzo è, come detto, davvero altissimo, tanto da essere entrato tra i libri da leggere e studiare a scuola. Scelta giusta, perché i molteplici significati lo rendono una scoperta continua, e qualcosa che riesce davvero a formare il pensiero dei ragazzi. La domanda che si pone 1984, una tra le principali: quali sono i meccanismi delle dittature? E quindi arrivano delle risposte che, pagina dopo pagina, tratteggiano un quadro di spessore sia per un punto di vista più scolastico, sia per uno magari diverso e da lettura rilassante (fino a un certo punto). La cosa importante è comunque leggerlo, almeno una volta nella vita, perché cambia davvero la mente del lettore, aprendola.
A molti questo libro, in effetti, ha aperto la mente. E c’è da dire che tra questi molti ci sono registi e sceneggiatori cinematografici, tra cui il grandissimo Terry Gilliam, che si è liberamente ispirato a questo romanzo per il suo Brazil. Anche se in Brazil non ci sono topi (per sapere cosa c’entrano dovete leggere il libro), non riusciamo a non appassionarci: ad Archibald Buttle, ad Archibald Tuttle e naturalmente a Sam Lowry.
Per molti oggi il Grande Fratello è solo un reality televisivo, mentre per altri quello che ha scritto Orwell si sta avverando. Quello che ignorano è che quello che c’è scritto nel romanzo si è già avverato e non negli ultimi anni, ma nel Secolo Breve: la dittatura di 1984 è appunto ispirata allo stalinismo e noi continuiamo a leggere questo romanzo affinché riusciamo a ricordare, con queste immagini letterarie pregne gli orrori di cui fu capace il regime di Stalin.