Texas di Fausto Paravidino avrebbe dovuto segnare un nuovo corso per il cinema italiano, ma questo non è successo. Resta però un grande film, capace di raccontare una storia comune e al tempo stesso insolita.
Texas è una pellicola che, con molti flashback e flashforward, racconta tre sabati nella vita di un gruppo di amici. Come spesso accade con questi film, la storia è generazionale: al centro ci sono dei ventenni (ma anche qualcun altro più “anziano”), alla vigilia delle responsabilità che l’età adulta comporta. Il protagonista Enrico (interpretato dallo stesso regista Fausto Paravidino) è infatti in procinto di iniziare il servizio civile in una rsa. Qualunque cosa vi dica sulla trama di questo film è spoiler, per cui accennerò al fatto che il titolo del film si riferisce alla terra di confine, il Texas come terra vicina al Messico, mentre l’Alto Monferrato in cui la storia è ambientata è una propaggine del Piemonte che confina quasi con la Liguria.
Ci sono moltissime tematiche che sono affrontate nel film: la morte economica delle piccole città e delaloro microeconomia schiacciati dai centri commerciali, il senso di claustrofobia che le relazioni possono comportare dopo che è passata la fase dell’innamoramento, la “costruzione” dello stupratore (e dopo ci torniamo). E c’è un’eco interessante: l’eredità dei partigiani, un’eredità che è politica e materiale.
Siamo i nipoti di Pavese e Fenoglio, ci sentiamo i fratelli di Edward Norton e Kurt Cobain.
Una delle tematiche più interessanti che percorre l’intero Texas è l’assenza o quasi di un’educazione sentimentale. Solo due personaggi sembrano possederla, e si conoscono da prima, per poi incontrarsi nella neve, a uno svincolo dell’autostrada. L’assenza di un’educazione sentimentale porta Maria (Valeria Golino) a tradire il marito Alessandro (Valerio Binasco) con un uomo, Gianluca (Riccardo Scamarcio) con cui si innesca una relazione di solo sesso, porta il padre di Gianluca a minacciare Maria sul posto di lavoro, in una scuola elementare, porta Elisa a scaricare Moby per la milionesima volta, finché quest’ultima non decide di reclamare la propria identità.
È una mancanza di attenzione a tutto ciò che sembra inutile, come per i sentimenti.
La scena più terribile è sicuramente quella in cui Davide stupra Elisa, dopo essersi convinto che gli spetti, che dopo tante vicissitudini affrontate il sesso di una donna, sebbene non consenziente, gli sia dovuto. L’intera parabola di Davide è terribile, ma senza giustificazione: Paravidino si limita a raccontare la storia, senza attribuire giudizi morali (come d’altra parte avviene anche con il personaggio di Maria, che anzi diventa agli occhi dello spettatore quasi un’eroina femminista che reclama invece il diritto di avere una vita sessuale previo consenso delle sole parti interessate).
L’oggetto della narrazione in Texas mi ha fatto spesso pensare alla morale di Notti magiche, l’omaggio sentimentale al cinema che Paolo Virzì ha fatto con un grandioso film pieno di magia appunto. Virzì fa ripetere una cosa ai suoi personaggi: per essere dei buoni sceneggiatori, è importante stare alla finestra, raccontare la realtà, cosa che Paravidino fa ampiamente in Texas, portandoci dentro una quotidianità, come dicevo, comune ma al tempo stesso insolita per via della crudezza di alcune storyline (la pistola dei partigiani ritrovata, lo stupro, una megarissa).
Un discorso a parte merita Iris Fusetti, che interpreta Cinzia, un personaggio centrale, forse il più affascinante insieme a quello di Golino. Fusetti è tra l’altro, a mio avviso, un’attrice straordinaria e trasmette allo spettatore tutto quello che il personaggio di Cinzia ha da dire ma a volte non dice. Anche quando canta quella straordinaria cover di The Crying Game.