Nel 1993 (1994 in Italia) prese il via un telefilm che ancora oggi, a quasi 20 anni di distanza, ha validi motivi per essere riscoperto.

di Paolo Merenda

Tutti i parti artistici hanno dei genitori da cui prendono usi e costumi o, talvolta, come i figli ribelli se ne discostano con il tipico astio adolescenziale nei confronti delle figure dell’autorità. Il padre e la madre di X-Files sono rispettivamente Twin Peaks e Il silenzio degli innocenti, non solo nel modo di vestire e di porsi di Fox Mulder e Dana Scully (simili a Dale Cooper e Clarice Starling), ma nel concetto di approccio a ciò che è sconosciuto.

Chris Carter, il creatore di X-Files, ha dato vita a nove stagioni consecutive dal 1993 al 2002, una decima nel 2016 e l’ultima, l’undicesima, nel 2018, oltre a due film, il primo del 1998 e il secondo del 2008. 218 episodi totali e due film, di cui il primo funzionale alla trama orizzontale. Davvero una mole infinita di materiale che farebbe tremare chi, come me poco avvezzo a serie tv lunghe, volesse avvicinarcisi oggi, senza aver mai visto una puntata intera (e questo ci può stare) e senza nemmeno sapere chi siano Fox Mulder e Dana Scully (e in questo caso una piccola lacuna televisiva ci sarebbe, diciamolo senza remore). Però, ancora adesso, ci sono motivi per vedere tutto, dal primo incontro di Mulder (David Duchovny) e Scully (Gillian Anderson) nello scantinato in cui erano relegati gli X-Files, i casi investigativi dell’FBI che sfidano le leggi delle basi scientifiche avventurandosi nel soprannaturale. Ed è in sé un caso raro, con la velocità odierna data da Netflix, Amazon e altre piattaforme.

Partiamo col dire che la serie X-Files è sì nata da Twin Peaks, ma ha subito preso la sua strada diventando un apripista assolutamente di spessore. I casi che venivano affrontati in ogni puntata erano per l’epoca una novità rispetto ai telefilm precedenti (MacGyver, A-Team, Supercar, Starsky & Hutch e altre), autoconclusivi e che spesso mostravano nell’ultima scena un manipolo di persone che ridevano insieme e passavano ad altro, chiudendo il capitolo appena superato alle spalle. Ecco, quasi mai accadeva con X-Files: da Eugene Tooms, alle Eva studiate in laboratorio, a tutto il resto, il finale restava aperto nel 90% dei casi. Le conseguenze sullo spettatore, all’inizio, era intuibile: vedere come sarebbe finita. Non nella puntata successiva, ma in una puntata magari di tre stagioni dopo in cui tal dei tali sarebbe tornato a minacciare Mulder, Scully e a volte l’umanità. Oggi tutto ha un finale aperto, anche i finali di serie assoluti, ma per l’epoca fu una ventata di novità alla quale confesso di essermi dovuto abituare, ma che dopo ho amato.

Un altro motivo è la trama orizzontale, gli episodi sulla teoria del complotto. Il complotto di quelli che oggi verrebbero definiti “poteri forti” è bello tosto: colonizzare il mondo con una razza aliena. Qui avevano un ruolo maggiore Walter Skinner (Mitch Pileggi), L’uomo che fuma (William B. Davis), Alex Krycek (Nicholas Lea), I pistoleri solitari, per citare i più longevi e senza volersi addentrare negli informatori che passavano notizie segrete a Mulder. Il fruitore attendeva le puntate della teoria del complotto, che erano un lungo film spezzettato ed elargito da Chris Carter ogni tanto, come dato a chi chiede l’elemosina agli angoli delle strade. E il bello è che a noi che vedevamo la serie andava benissimo: non volevamo informazioni sempre, ogni singolo episodio, così quando fossero arrivate le avremmo apprezzate molto di più. Oggi ogni puntata delle serie tv è funzionale, più o meno, alla trama orizzontale, ma per X-Files non è mai stato così.

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E vogliamo parlare del rapporto tra lo spettrale Mulder e la scienziata Scully? Lui possibilista ai limiti della creduloneria, lei scienziata ligia ai dettami di ciò che ha studiato, che vedono sanguisughe di forma umana, lupi mannari, esseri capaci di diventare qualsiasi cosa, di scomparire o di farsi trasportare nell’addome di ignare vittime da un continente all’altro, per non parlare dei chip sottopelle o degli avvistamenti alieni. A un occhio nuovo, quale potrebbe essere la loro reazione? Domanda lecita e che trovava una risposta sempre diversa di puntata in puntata. Tutto ciò con il leit motiv costante: non se, ma quando si sarebbero innamorati l’un dell’altra?

Il quarto motivo sono le teorie sul significato dei vari finali intermedi, dato che come ho detto, spesso erano aperti: immaginatevi puntate di una quindicina d’anni fa rilette e studiate oggi per la prima volta dagli spettatori. La fandom che cerca di arrivare a una soluzione condivisa dei finali dei prodotti moderni, alle prese con un telefilm ormai vecchio. Scoprirne le valutazioni sarebbe interessante anche su un livello sociologico: X-Files è scritto in modo ottimo, ma con il tempo che è passato ha favorito l’avvento di strumenti che ne hanno minato l’aura di mistero. Però credo che, se da un lato l’aura di mistero si stia dissolvendo sempre più, dall’altro la storia è davvero potente, e potrebbe beneficiare di una visione da parte di occhi nuovi e il successivo confronto. Chissà cosa ne uscirebbe fuori.

X-Files è attualmente in programmazione su Rai4 ed è disponibile nel catalogo Amazon PrimVideo.

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