Pier Paolo Pasolini fu l’autore di un’operazione molto particolare: traspose un film in un romanzo.
Uno dei film che preferisco di Pier Paolo Pasolini è Teorema. E uno dei libri che preferisco di Pier Paolo Pasolini è Teorema. Ma come, direte, Pasolini ha tratto un film da un suo romanzo? No, ha fatto esattamente il contrario: durante la lavorazione della pellicola ha scritto il libro, con una struttura che ricalca pedissequamente il film.
La storia è ambientata nella villa di una ricca famiglia borghese, composta da padre, madre e due figli, un maschio e una femmina. Completa il quadro una colf che viene dalla provincia e in quella casa è completamente fuori quadro. I cinque ricevono la visita di un ospite misterioso, un giovane con gli occhi azzurri che intreccia relazioni e suscita il desiderio di ogni membro della famiglia. A volte il desiderio viene soddisfatto, anche se per poco, altre volte resta sospeso, fino a diventare ossessione. La colf Emilia, interpretata dalla fantastica Laura Betti, impazzisce infatti, e tenta il suicidio, per poi tornare in paese a fare miracoli mangiando ortiche. Odetta, la figlia, diventa melanconica e silenziosa. Il padre decide di donare la fabbrica agli operai e «prendere la via del deserto».
Nel film figura anche un minuscolo personaggio, che fa due sole apparizioni, spensierato nei suoi riccioli biondi. È Angelino, il postino, che si fa ambasciatore di notizie e cerca di interagire con Emilia. Se si legge il libro prima di vedere il film, sembra quasi di vederlo e immaginarlo come Ninetto Davoli, l’attore che in effetti riveste quel ruolo nella pellicola.
Teorema è un film silenzioso e al tempo stesso assordante. Non ci sono dialoghi, ci sono poche musiche, eppure è come se i volti degli attori parlassero senza muovere le labbra. Questo “effetto” è tanto più evidente nel romanzo, che appare come una lunghissima nota di regia in cui Pasolini racconta il film e lo rende maggiormente palese al lettore.
In Teorema tutto è simbolico: dalla moglie Lucia (interpretata da Silvana Mangano) che accarezza languidamente il cavallo dei pantaloni dell’ospite adagiati vuoti sul “letto”, alle ortiche di Emilia, al fischiettare di Angelino che non produce davvero suoni, fino all’ostinazione di Odetta con il suo labbro perennemente in fuori a darle l’aspetto di un buffo coniglio. E poi c’è naturalmente il deserto, che nella metafora biblica della citazione iniziale rappresenta il processo di trasformazione del popolo ebraico, del passaggio attraverso molte peripezie verso la salvezza. E i piedi nudi del padre, la cui operazione di donazione non è forse disinteressata, ma fa parte di un processo di trasformazione della borghesia e forse anche del proletariato. E se, ora che è in possesso della fabbrica, il proletariato diventasse borghesia?
Ci sono poi gli occhi azzurri dell’ospite, bellissimi da guardare sullo schermo, ma nella simbologia pasoliniana forieri di grandi tragedie. Non a caso, Zumurrud ne Il fiore delle mille e una notte chiede a Nur ed Din di vendere il suo arazzo a chiunque, tranne che a un cristiano con gli occhi azzurri.
Perché Teorema non è affatto atipico nella produzione pasoliniana. Non solo la filosofia del poeta è nelle pieghe dei dettagli, ma è come se Teorema si ponga in continuità con altre opere con cui apparentemente non c’è attinenza, come Edipo Re, Porcile e Medea, anche loro pervase da ideologia e misticismo.