Il Festival del Cinema Europeo 2020 si sta svolgendo quasi esclusivamente online e io mi sento un po‘ divisa.
A pochi giorni dall’inizio del Festival del Cinema Europeo 2020 è giunto a tutti come una stilettata: i cinema sono stati chiusi in base al Dpcm e quindi anche il Multisala Massimo di Lecce non ha potuto ospitare, come ogni anno la kermesse. Per fortuna sono rimasti aperti i musei e quindi l’esposizione su Aldo Fabrizi curata dalla nipote Cielo Pessione è al castello Carlo V, per chi è in zona e ha voglia di scoprire qualcosa in più su questo grande mito del cinema italiano. Gli altri eventi sono invece tutti in streaming, come i film che si possono vedere on demand su una piattaforma dedicata.
Devo essere sincera: quando ho saputo del Dpcm mi sono chiesta cosa sarebbe accaduto al Fce. L’ho frequentato saltuariamente da spettatrice per molto tempo e poi dal 2013 per lavoro. Mi ricordo ancora il primo incontro. Ero lì, sperduta, proprio al Carlo V, in attesa di un incontro con Aki Kaurismaki e una donna mi rivolse delle parole gentili: era Cristina Soldano, oggi scomparsa, alla quale oggi è dedicato il premio nel concorso per il miglior lungometraggio europeo Ulivo d’Oro. Da allora mi sono affezionata al Fce, più che da spettatrice. Sulla mia libreria c’è ancora il catalogo su Kaurismaki (che tra l’altro appare in una scena di Latin Lover di Cristina Comencini). C’ero quando si ricordò come Carlo Verdone riuscì a gettare le basi per una nuova commedia all’italiana, in particolare grazie a Compagni di scuola. C’ero durante la retrospettiva su Mario Bava, che oggi il direttore del Fce Alberto La Monica ha ricordato durante l’incontro in streaming con Dario Argento. C’ero quando Lola Duenas ha incontrato gli studenti delle scuole leccesi durante la proiezione di Yo, tambien. C’ero quando Milena Vukotic ha parlato di due suoi colleghi indimenticabili come Paolo Villaggio e Lino Banfi (e ha risposto a una mia domanda sullo stracult per me Gran bollito). E c’ero quando in una sala gremita di adolescenti non volava una mosca durante la proiezione di un film di Luis Bunuel.
Pur essendo una cinefila, non amo andare al cinema. In realtà mi piacerebbe se nel cinema ci fossi solo io. Quello che non sopporto sono le persone che parlano durante il film, la puzza di pop corn e i commenti sul finale. Nei miei vent’anni avevo anche un’amica con il cappotto che puzzava perennemente di cipolla e sedeva con me ai cineforum. Però al Fce ho sempre adorato andarci. Lì trovo platee silenziose, attente e consapevoli. È davvero meraviglioso. Per questo mi è dispiaciuto sapere di un festival che non sarebbe avvenuto «in presenza».
C’è però un ma, grande, gigantesco che appara il dispiacere. La scelta degli organizzatori, l’associazione Art Promotion in testa, con il consueto sostegno di Apulia Film Commission e Regione Puglia di andare avanti mi è apparsa non solo vincente, di più. È la scelta di chi non vuole rinunciare alla cultura, di non rinunciare alla bellezza. È un esempio da seguire. È un modo per ricordarci che esiste nel mondo qualcosa di davvero importante, per cui lottare sempre e il cinema con la sua magia è questo qualcosa di importante. Chiaramente non voglio sminuire il fatto che in questo momento stiamo lottando tutti contro un virus pericoloso, ma vorrei rimarcare invece che l’arte e la cultura, che passano sempre per essere delle Cenerentole, in realtà non lo sono e non lo devono essere.
La bellezza del Fce è in molti dettagli. È, per esempio, in quel’Ulivo d’Oro che viene attribuito ad alcuni artisti. Uno di questi riconoscimento, alla carriera, è stato attribuito nelle scorse ore a Dario Argento, che durante la sua diretta streaming ci ha deliziato con diversi aneddoti, uno dei quali raccontava come mai la mano dell’assassino nei suoi film sia la sua stessa mano guantata di nero.
È iniziato tutto in modo casuale al primo film (L’uccello dalle piume di cristallo, ndr) – ha detto il Maestro – avevo preso una specie di comparsa della quale si dovevano vedere solo le mani. Ma lo faceva male, colpiva male, svirgolava, era molle. L’ho sgridato e mandato via. Poi ho preso il famoso guanto nero e zac zac, l’ho fatto io. Col secondo film, Il gatto a nove code, mio padre mi disse: sei stato così bravo al primo non vuoi continuare col secondo?