Frankenstein di Mary Shelley è un classico della letteratura su come si costruisce un mostro, sia letteralmente che soprattutto metaforicamente.

di Paolo Merenda

Chi è il mostro? È questa la domanda al centro di quel classico della letteratura che risponde al nome di Frankenstein o il moderno Prometeo, scritto da una Mary Shelley appena diciannovenne. Tecnicamente, lo è un corpo che prende vita, dopo essere stato assemblato con parti di diversi cadaveri, ma la risposta più ovvia non è quella veritiera.

Inutile soffermarsi sulla trama, ovvero sui tentativi del visionario dottor Victor Frankenstein di far tornare in vita un corpo morto, o sulle reazioni di chi si trova di fronte la Creatura, una volta che gli esperimenti hanno successo. Piuttosto, la lezione morale che la sua autrice Mary Shelley affida al libro è di come venga creato un mostro, e pur provenendo da un libro pubblicato nel 1818, è ancora attuale a più di due secoli di distanza.

La Creatura vuole vivere e vuole amare come tutti gli altri, ma il popolo si ferma all’aspetto esteriore, tanto da portarlo a compiere atti efferati e ritorcersi contro il suo stesso creatore. Arriva anche a chiedergli di costruire una compagna, ma niente va come dovrebbe, a partire in realtà dall’esperimento che riesce, certo, ma è il primo tassello che sbaglia a incastrarsi. L’errore alla base è difatti che il dottor Frankenstein dia vita a un essere mostruoso invece di lasciarlo a un eterno riposo di cristiana carità.

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Gli omicidi che l’essere compie sono quindi, ovviamente, errati, ma dettati da una disperazione che alla fine lo portano a fuggire fino al Polo Nord, dove Frankenstein gli dà la caccia dopo che la Creatura gli ha ucciso la moglie durante la prima notte di nozze.

Il finale, poetico e struggente, mostra la bravura di Mary Shelley che, dato il periodo storico in cui pubblicò l’opera, si affidò a uno pseudonimo maschile. La famosa frase di un critico dell’epoca, alla scoperta nella seconda edizione che Frankenstein o il moderno Prometeo era stato scritto da una donna, fotografa perfettamente quella fase storica:

«[Il romanzo] per un uomo era eccellente, ma per una donna è straordinario.»

Inutile elencare la mole di film tratti dal libro, di cui il primo addirittura nel periodo dei film muti, ma ad arrivare con il fascino intatto fino a noi è stato soprattutto Frankenstein Junior del 1974, da un’idea di Gene Wilder (anche protagonista) e Mel Brooks (regista), mentre il volto più conosciuto è attribuibile a Boris Karloff, a quasi 90 anni dalla sua interpretazione nel 1931. Tra le parodie, trovo delizioso il cartone animato Carletto il principe dei mostri, in cui c’è Frank, diminutivo di Frankenstein, maggiordomo di casa. Nella stessa sigla italiana si dice «sono il mostro Frankenstein». Ebbene, questa scelta ha, secondo il mio parere, aumentato la confusione: erroneamente, ancora molte persone pensano che il nome della Creatura sia Frankenstein, e non la attribuiscono al suo creatore. Ma, in qualunque modo lo si chiami, è un libro che va letto e studiato sia a scuola che nel tempo libero.

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