Una piccola riflessione su come la presidenza Trump abbia influenzato i contenuti di alcune serie televisive.
I risultati delle elezioni americane non sono ancora definitive, anche se Joe Biden è decisamente in testa. Negli ultimi quattro anni sono accadute un po’ di cose. L’elezione di Donald Trump ha modificato, spostandone l’asse a destra, gli equilibri internazionali: dal Regno Unito all’Ungheria passando per l’Italia, sono stati diffusi messaggi pericolosi relativi alle cosiddette minoranze e ci hanno fatto interrogare a lungo sui diritti umani nell’Occidente.
Trump, alla sua prima candidatura, non è stato sostenuto da moltissime personalità del mondo della musica e del cinema, che si sono orientate in gran parte verso Hilary Clinton e in misura minore per Bernie Sanders. Ma mi sono spesso chiesta se la scelta operata da queste celebrità fosse effettivamente pro un candidato o contro Trump.
Non ho risposta per questo interrogativo, ma so dirvi per certo che alcune decisioni prese da Trump sono entrate nella trama di alcune serie televisive. Una premessa è d’obbligo: Trump è sicuramente, dopo Ronald Reagan, un presidente-showman. Non ai livelli di Reagan certo, che per molti anni è stato un attore di successo, ma comunque Trump, in forza del suo essere noto in quanto imprenditore miliardario, ha preso parte a film e telefilm nel tempo, da Mamma ho riperso l’areo a Willy il principe di Bel Air. Tanto da aver ricevuto una stella tutta sua sulla Hollywood Walk of Fame.
In questi quattro anni però non mi risulta che Trump sia apparso in qualche serie o film (ma ovviamente posso sbagliare, non posso sapere tutto). Ma la sua ombra o i riferimenti a lui ci sono stati eccome. Partiamo da American Horror Story: Cult, che Ryan Murphy ha deciso di ambientare proprio durante la scorsa campagna presidenziale. Resta nella memoria la scena di un sostenitore di Trump che, intrappolato da due sostenitrici di Hilary, si lascia tagliare un braccio per potersi recare alle urne. In generale comunque, molte delle opere di Ryan Murphy hanno spostato sempre di più in questi anni il discorso sui diritti delle minoranze.
Per quello che mi riguarda, la scena di maggiore impatto riferita a una politica di Trump è in Orange Is the New Black. Nell’ultima stagione, si parla appunto delle scelte che il presidente ha fatto in materia di migrazione, di come i figli siano stati divisi dalle famiglie, costretti a processi in prima persona senza l’accompagnamento di un adulto, di come i centri di detenzione dell’Ice ostacolino in ogni modo l’accesso alla giustizia di chi è lì rinchiuso (quasi sempre fino al rimpatrio). Chiaramente lo spettatore è stato molto colpito da alcune di queste storie, in particolare quelle di due personaggi che aveva imparato ad amare nelle stagioni precedenti, come Blanca Flores e Maritza Ramos.
Quello che mi ha colpito maggiormente è la storyline di un personaggio senza nome, del quale viene rivelata a stento la provenienza: un Paese latino all’interno del quale questa donna rappresenta una minoranza etnica discendente dalla popolazione nativa. Questa donna viene stuprata al confine e resta incinta: decide di abortire e cerca di farlo con un infuso di prezzemolo, ma non ci riesce. Quando finalmente la direttrice del campo di detenzione, una donna, riesce a comprendere la sua problematica, gli uomini sono completamente fuori da ogni comprensione. E c’è un momento in cui la direttrice finge di essere incinta e di necessitare di una pillola abortiva, per poterla regalare a quella donna stuprata, maltrattata, inascoltata: le chiude la pillola nella mano, con un gesto semplice e generoso. Di comprensione di una donna per un’altra donna.
Probabilmente è anche accaduto il contrario e cioè che il contenuto di una serie abbia influenzato il modo di manifestare contro Trump. Basti pensare a The Handmaid’s Tale e alle ancelle che di recente hanno sfilato nelle piazze per protestare contro l’ultima nomina fornita da Trump per rimpinguare la Corte Suprema. Quest’organo, negli Stati Uniti, è quello che sovrintende la corretta applicazione della sentenza Roe vs Wade, che regola il diritto alla libera scelta. E credo che non sia un caso che nei giorni scorsi l’attrice Jennifer Aniston, nell’atto di inviare il suo voto postale, abbia fatto riferimento proprio al diritto di libera scelta. In fondo è lei, Rachel, che nell’episodio 14×8 di Friends dice a Ross:
No uterus, no opinion.